Consiglio di condominio: prerogative e limiti

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2

Ordinanza 10 gennaio – 15 marzo 2019, n. 7484

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7028-2018 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE BRUYERE;

– ricorrente –

contro

D.P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA I. GOIRAN 23, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CONTENTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERA BESSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1667/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 25/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/01/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

(OMISSIS), impugna, articolando due motivi di ricorso (1: violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112, 113 e 116 c.p.c., degli artt. 1136 e 1137 c.c. e dell’art. 63 disp. att. c.c., nonchè omessa, insufficiente e contradditoria motivazione; 2: violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 116 c.p.c., degli artt. 1136, 1137 e 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contradditoria motivazione) la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1667/2017 del 25 luglio 2017.

D.P.R. resiste con controricorso.

La Corte d’Appello di Torino ha confermato la pronuncia n. 1268/2016 resa in primo grado dal Tribunale di Torino, che aveva accolto l’impugnazione ex art. 1137 c.c. della delibera assunta il 31 luglio 2014 dal Consiglio di Condominio dell’edificio di (OMISSIS). Il Consiglio di Condominio nella riunione del 31 luglio 2014 aveva esaminato diversi preventivi di appaltatori inerenti ai lavori di rifacimento del terrazzo/lastrico solare, votando a favore di uno di tali preventivi e suddividendo il relativo pagamento delle spese derivanti in due rate, che il D. era poi stato invitato a pagare. In tal modo, ad avviso del Tribunale, il Consiglio di Condominio, composto da soli cinque condomini, non si era limitato a svolgere una funzione consultiva, come consentito dall’art. 1130 bis c.c., u.c., ma aveva espresso una decisione vincolante per l’intero condominio, approvando i lavori di rifacimento ed il preventivo ritenuto più economico e certificato (per Euro 13.500,00), e ripartendo altresì le spese.

Sull’appello del (OMISSIS), la Corte di Torino ha rilevato la sussistenza dell’interesse ad agire per l’impugnazione ex art. 1137 c.c. in capo a D.P.R., giacchè il verbale di assemblea straordinaria del Consiglio di Condominio del 31 luglio 2014 richiamava in intestazione l’art. 1136 del c.c., ed avendo poi l’amministratore inviato in data 5 gennaio 2016 un sollecito di pagamento al D. per le quote condominiali scadute, pari alle due rate ripartite nell’impugnata delibera del Consiglio di Condominio. La Corte d’Appello, condividendo la decisione del Tribunale, ha affermato che la delibera del Consiglio di Condominio del 31 luglio 2014 avesse non contenuto consultivo, ma esprimesse, al contrario, una decisione sui lavori di manutenzione del lastrico solare. La sentenza impugnata evidenzia altresì che nel verbale dell’assemblea condominiale del 30 maggio 2014, prodotto in giudizio, non risultavano già approvate le opere poi oggetto della riunione del Consiglio di Condominio del 31 luglio 2014, nè alcuna successiva approvazione o ratifica assembleare era stata adottata.

Nei due motivi del ricorso del (OMISSIS), si contrappone che fu l’assemblea del 3 dicembre 2015, invece, ad approvare e deliberare “a larghissima maggioranza” i lavori e l’impresa esecutrice, uniformandosi alla scelta espressa dai consiglieri di condominio. Tale ultima circostanza è definita in ricorso “pacifica e mai contestata”. Solo a seguito di tale assemblea del 3 dicembre 2015 era intervenuto il sollecito di pagamento del 5 gennaio 2016 inoltrato al D..

Il controricorrente deduce che il verbale di tale assemblea del 3 dicembre 2015, posto dal ricorrente a fondamento delle sue censure, non è mai stato acquisito agli atti del presente giudizio.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

L’art. 1130-bis c.c., comma 2, introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, consente all’assemblea di nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. La stessa norma precisa che il consiglio di condominio ha “unicamente funzioni consultive e di controllo”, essendo l’organo votato a garantire una più efficiente e trasparente tutela degli interessi dei condomini nei grandi complessi immobiliari dotati di molteplici strutture comuni. Già, tuttavia, prima della Riforma del 2012, o comunque in fattispecie sottratte ratione temporis alla vigenza del nuovo art. 1130 bis c.c., questa Corte aveva affermato, con principio che va qui ribadito, che l’assemblea condominiale – atteso il carattere meramente esemplificativo delle attribuzioni riconosciutele dall’art. 1135 c.c. – può certamente deliberare la nomina di una commissione di condomini (cui ora equivale il “consiglio di condominio”) con l’incarico di esaminare i preventivi di spesa per l’esecuzione di lavori, ma le decisioni di tale più ristretto consesso condominiale sono vincolanti per tutti i condomini – anche dissenzienti – solamente in quanto rimesse alla successiva approvazione, con le maggioranze prescritte, dell’assemblea, le cui funzioni (quale, nella specie, l’attribuzione dell’approvazione delle opere di manutenzione straordinaria, ex art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, non sono delegabili ad un gruppo di condomini (Cass. Sez. 2, 6 marzo 2007, n. 5130; Cass. Sez. 2, 23 novembre 2016, n. 23903; Cass. Sez. 2, 25 maggio 2016, n. 10865). Il consiglio di condominio, pure nella vigenza dell’art. 1130-bis c.c., non può, dunque, esautorare l’assemblea dalle sue competenze inderogabili, giacchè la maggioranza espressa dal più ristretto collegio è comunque cosa diversa dalla maggioranza effettiva dei partecipanti, su cui poggiano gli artt. 1135, 1136 e 1137 c.c. ai fini della costituzione dell’assemblea, nonchè della validità e delle impugnazioni delle sue deliberazioni.

La determinazione dell’oggetto delle opere di manutenzione straordinaria (e cioè degli elementi costruttivi fondamentali delle stesse nella loro consistenza qualitativa e quantitativa), la scelta dell’impresa esecutrice dei lavori, la ripartizione delle relative spese ai fini della riscossione dei contributi dei condomini, rientrano, pertanto, nel contenuto essenziale della deliberazione assembleare imposta dall’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4 (Cass. Sez. 2, 26 gennaio 1982, n. 517; Cass. Sez. 2, 21 febbraio 2017, n. 4430; Cass. Sez. 6-2, 16 novembre 2017, n. 27235; Cass. Sez. 6-2, 17 agosto 2017, n. 20136; Cass. Sez. 2, 20 aprile 2001, n. 5889).

Nella specie, è stato accertato in fatto dai giudici del merito che il Consiglio di Condominio, nella riunione del 31 luglio 2014, aveva approvato l’intervento di manutenzione, aveva scelto l’impresa cui affidare i lavori di manutenzione del lastrico ed aveva suddiviso le spese fra i condomini. Queste decisioni del Consiglio di Condominio, sempre per quanto accertato dalla Corte d’Appello di Torino, non vennero poi mai rimesse alla successiva necessaria approvazione dell’assemblea con le maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. (nè, d’altro canto, i lavori risultavano approvati sin dall’assemblea condominiale del 30 maggio 2014).

Va considerato come le determinazioni prese dai condomini, in assemblea o, come nella specie, nell’ambito del “consiglio di condominio”, devono valutarsi come veri e propri atti negoziali, sicchè l’interpretazione del loro contenuto è frutto di apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità unicamente per violazione dei canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 c.c. e ss. (Cass. Sez. 2, 28 febbraio 2006, n. 4501). La Corte d’Appello di Torino, ricostruiti i fatti come sinora esposto, ha coerentemente attribuito immediato valore organizzativo (e non dunque meramente consultivo o preparatorio di un futuro pronunciamento assembleare) alla deliberazione del Consiglio di condominio del 31 luglio 2014. Ciò basta a giustificare l’interesse del condomino D. ad agire in giudizio per accertare se siffatto valore organizzativo della deliberazione del 31 luglio 2014 meritasse di essere conservato o andasse, piuttosto, eliminato con la sanzione giudiziale invalidante. Il D. aveva perciò un interesse sostanziale ad impugnare la delibera in questione, giacchè titolare di una posizione qualificata diretta ad eliminare la situazione di obiettiva incertezza che la delibera del consiglio di condominio generava quanto al contenuto dell’assetto organizzativo della materia regolata (le opere di manutenzione straordinaria). A questo interesse sostanziale è certamente abbinato l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. per l’impugnazione della delibera, avendo l’attore prospettato una lesione individuale di rilievo patrimoniale correlata alla delibera impugnata e così rivelato l’utilità concreta che poteva ricevere dall’accoglimento della domanda.

I due motivi del ricorso del (OMISSIS), si fondano essenzialmente sul verbale dell’assemblea del 3 dicembre 2015, che avrebbe poi fatto proprie le decisioni del consiglio di condominio quanto alla approvazione dei lavori e ad alla scelta dell’impresa esecutrice. Questa circostanza è definita in ricorso “pacifica e mai contestata”: in realtà, nessun cenno ad essa è fatto nella sentenza impugnata, la quale, all’esatto contrario, a pagina 12 ha esplicitamente negato che le determinazioni dei consiglieri di condominio risultassero di seguito approvate o ratificate dall’assemblea. Il controricorrente stesso oppone che il verbale dell’assemblea del 3 dicembre 2015 non è mai stato prodotto in giudizio.

L’allegazione è perciò inammissibile. Com’è costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione di fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, ha l’onere, imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare precisamente in quale atto ed in quale fase processuale venne svolta la relativa allegazione e in quale fascicolo di parte si trovi il documento inerente a detta questione, nonchè di specificarne il contenuto (tra le tante, Cass. Sez. 3, 21/11/2017, n. 27568; Cass. Sez. 1, 18/10/2013, n. 23675). Così, ove il ricorrente sostenga che il giudice di merito non abbia tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il medesimo art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e medesimo art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, impongono di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica nelle avverse difese (ad esempio, Cass. Sez. 6 – 1, 12/10/2017, n. 24062).

Sono infine inammissibili, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. Nè la motivazione può dirsi omessa, in quanto la sentenza della Corte di Torino contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, all’art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2019.