Proprietà del muro perimetrale
Composta da: Oggetto
LUIGI GIOVANNI LOMBARDO – Presidente –
CONDOMINIO
MARIO BERTUZZI – Consigliere –
ANTONIO SCARPA – Rel. Consigliere –
Ud. 13/05/2022 – CC
ROSSANA GIANNACCARI – Consigliere –
R.G.N. 23939/2021
CHIARA BESSO MARCHEIS – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 23939-2021 proposto da:
– ricorrente –
contro
– intimato –
avverso la sentenza n. della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 16/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/05/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la
sentenza n. della Corte d’appello di Genova, depositata il 16
febbraio 2021.
L’intimato Condominio di Pietra Ligure, ,
non ha svolto attività difensive.
La sentenza impugnata ha rigettato l’appello contro la pronuncia resa in
primo grado dal Tribunale di Savona ed ha così respinto l’impugnazione ex
art. 1137 c.c. presentata dal condomino contro quattro
deliberazioni dell’assemblea del Condominio di Pietra
Ligure (del 2 maggio, del 19 agosto e del 28 novembre 2015, nonché del
5 marzo 2016), tutte volte al rifacimento della facciata condominiale.
L’attore aveva prospettato la nullità di tali delibere, perché avevano
approvato l’intervento di manutenzione dell’intera facciata dell’edificio,
ripartendone le spese fra i condomini, benché parte di essa fosse di
proprietà esclusiva.
La Corte d’appello ha richiamato l’atto 3 settembre 1959 a rogito del
Notaio con il quale , proprietario unico di un
edificio costituito da due piani fuori terra in corso di costruzione, aveva
venduto “l’intera area sovrastante la soletta di copertura del primo piano
sopra il piano terreno (e cioè del secondo piano fuori terra) alla Società
. Tale rogito precisava che “sull’area come sopra
acquistata la società compratrice avrà il diritto di costruire più piani che
resteranno di assoluta e esclusiva proprietà della società compratrice
stessa, e ciò senza dover corrispondere alcuna indennità al venditore, o
suoi aventi causa, per la sopraelevazione, in deroga all’art. 1127 del
Codice civile”. Tale atto, alla postilla n. 2, aggiungeva: “In parziale deroga
a quanto sopra convengono le parti che i muri perimetrali sino all’altezza
dell’area, oggetto del presente atto, permangano in proprietà esclusiva del
venditore; detti muri perimetrali restano, però, gravati della servitù di
attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli
alloggi, costruendi sull’area compravenduta, e ciò limitatamente a quanto
sarà eseguito dalla società compratrice sino alla data di ultimazione dei
lavori e relativa dichiarazione di abitabilità dell’intero fabbricato”.
I giudici di secondo grado hanno tuttavia considerato che la delibera sulla
ripartizione delle spese di risanamento della facciata, assunta in data 28
novembre 2015, aveva fatto riferimento “alle tabelle millesimali da
sempre in uso e allegate al regolamento contrattuale di natura
contrattuale…”, risalenti al 1961. Ha così affermato la sentenza impugnata
che la facciata, per quanto in parte non comune, svolge “una funzione
strutturale per l’intero edificio per la cui manutenzione, ordinaria o
straordinaria, i singoli partecipanti debbono concorrere nella misura
proporzionale al valore anche delle loro proprietà esclusive, valutate nelle
tabelle vigenti nel Condominio. Del resto la pattuizione di cui al rogito
sopra menzionata del 1959 non prevede che le spese dei muri perimetrali
sino all’altezza dell’area, oltre tutto gravati della servitù di
attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli
alloggi soprastanti, siano poste a carico del proprietario esclusivo di detti
muri in base a una specifica ed espressa pattuizione, non potendosi
altrimenti presumere che quest’ultimo (all’epoca il ) per il solo
fatto di essersi riservata la proprietà esclusiva, abbia inteso assicurare le
basi strutturali della facciata condominiale ai proprietari delle unità
immobiliari soprastanti, con esonero dei medesimi da ogni concorso nelle
spese di manutenzione del tetto”.
Per quanto qui ulteriormente rilevi, la Corte d’appello di Genova ha
reputato poi che apparisse “evidente la volontà dell’assemblea di
deliberare un costo dei lavori più contenuto di quelli messi a capitolato
(“soltanto strettamente necessari…”) e comunque la previsione della
costituzione di un fondo cassa di € 13.000,00 + iva consente di affermare
che questa fosse la quantificazione dei lavori approvata, salvo i necessari
aggiustamenti derivanti da varianti in corso d’opera”.
Il primo motivo del ricorso di denuncia “la violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 1123, primo comma e 1137 c.c. in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c., tenuto conto che l’assemblea non ha il potere di
decidere della sorte di beni che non costituiscono parti o servizi comuni,
né tantomeno, quello di imporne l’obbligatorietà ed il relativo costo ai
condomini assenti o dissenzienti”.
Il secondo motivo deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’art.
1069 c.c. e dell’art. 68 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.,
considerato che se è vero che la manutenzione delle opere in re aliena è
posta a carico dei proprietari dei fondi dominanti, è altrettanto vero che la
manutenzione della parte del fondo servente non interessata da dette
opere resta a carico dei proprietari di quest’ultimo”.
Il terzo motivo di ricorso allega la “violazione e/o falsa rappresentazione
dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. c.p.c., avendo
ritenuto che l’interesse del ricorrente fosse limitato alla sola ripartizione
delle spese (ed alla relativa delibera) e non anche all’esercizio del più
generale potere decisionale dell’assemblea rappresentato da tutte le
delibere impugnate”.
Il quarto motivo lamenta la “violazione e/o falsa rappresentazione dell’art.
1135, primo comma, n. 4, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. avendo
ritenuto legittima la determinazione del fondo speciale in maniera
arbitraria e non «pari» all’ammontare dei lavori”.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse
essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente
defínibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione
all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato
l’adunanza della camera di consiglio.
I quattro motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e
sono fondati nei sensi di seguito indicati.
Le determinazioni prese dai condomini in assemblea sono da considerare,
a tutti gli effetti, come veri e propri atti negoziali, ovvero come coacervo
di dichiarazioni individuali, espressione in quanto tale non della volontà
dell’assemblea, bensì della maggioranza in essa formatasi, e quindi atto
dell’organizzazione condominiale. La delibera costituisce, in sostanza, un
momento della gestione condominiale, e in tal senso il problema della sua
validità o invalidità è correlato alle ripercussioni che essa ha sulla
medesima gestione. Oggetto del giudizio di validità ex art. 1137 c.c. è
perciò il valore organizzativo della deliberazione, dovendosi accertare se
quel valore merita di essere conservato o va, piuttosto, eliminato con la
sentenza di annullamento o con la declaratoria di nullità. La valenza
organizzativa emergente dal testo della delibera dell’assemblea
costituisce, allora, il coefficiente determinante nella scelta tra la sanzione
invalidante e la contrapposta esigenza di stabilità delle deliberazioni in
seno alla compagine condominiale e di certezza dei rapporti giuridici
instaurati per decisione dell’organo collegiale.
Avendosi riguardo, nel caso in esame, a lavori di rifacimento della facciata
dell’edificio condominiale, occorre considerare che la determinazione
dell’oggetto delle opere di manutenzione straordinaria (e cioè degli
elementi costruttivi fondamentali delle stesse nella loro consistenza
qualitativa e quantitativa) e la ripartizione delle relative spese ai fini della
riscossione dei contributi dei condomini rientrano nel contenuto essenziale
della deliberazione assembleare imposta dall’art. 1135, comma 1, n. 4,
c.c. (Cass. Sez. 2, 26 gennaio 1982, n. 517; Cass. Sez. 2, 21 febbraio
2017, n. 4430; Cass. Sez. 6-2, 16 novembre 2017, n. 27235; Cass. Sez.
6-2, 17 agosto 2017, n. 20136; Cass. Sez. 2, 20 aprile 2001, n. 5889).
Come da ultimo ulteriormente precisato in Cass. Sez. Unite, 14 aprile
2021, n. 9839, uno dei casi in cui la deliberazione dell’assemblea dei
condomini deve ritenersi affetta da nullità è quella della “impossibilità
dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito
al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione”. L’impossibilità giuridica
dell’oggetto, in particolare, va valutata in relazione alle “attribuzioni”
proprie dell’assemblea: l’assemblea, quale organo deliberativo della
collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei
servizi comuni. Perciò, l’assemblea non può “occuparsi dei beni
appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, giacché
qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può
essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il
metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale,
fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi”.
È indubbio pertanto che sia nulla, e perciò sottratta al termine di
impugnazione di cui all’art. 1137 c.c., la delibera dell’assemblea di
condominio che approvi e ripartisca una spesa priva di inerenza alla
gestione condominiale, come, ad esempio, quella che concerna la
manutenzione di beni di proprietà esclusiva.
La sentenza impugnata ha errato, pertanto, nel ritenere di competenza
dell’assemblea condominiale le spese di rifacimento della porzione dei
muri perimetrali di proprietà esclusiva (come accertato in forza del titolo
contrario ex art. 1117 c.c. rinvenuto nell’atto 3 settembre 1959), né
l’integrale accollo ai condomini delle opere di manutenzione di tali beni
può trovare fondamento nella “servitù di attraversamento per tubazioni,
canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi soprastanti”, operando
semmai al riguardo, in assenza di diversa specifica pattuizione avente
forma scritta, i criteri di cui all’art. 1069 c.c.
I muri maestri o perimetrali, come le facciate di prospetto, di un edificio
condominiale, sono, invero, oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art.
1117, n. 1, c.c., sempre che non risulti il contrario dal titolo (cfr. Cass.
Sez. 2, 28/09/2016, n. 19215; Cass. Sez. 2, 20/03/2012, n. 4430; Cass.
Sez. 2, 15/06/1998, n. 5948; Cass. Sez. 1, 29/05/1973, n. 1593; Cass.
Sez. 2, 06/11/1971, n. 3133).
Neppure il riferimento “alle tabelle millesimali da sempre in uso” può
lasciar intendere approvata per “facta concludentia” una convenzione che
ponga a carico dei condomini le spese di manutenzione delle porzioni di
proprietà esclusiva (arg. da Cass. Sez. 2, 15/10/2019, n. 26042). Se è
pur vero che il fondamento della partecipazione agli oneri condominiali, ai
sensi degli artt. 1123 e ss. c.c., non è necessariamente correlato alla
contitolarità della res, spesso piuttosto derivando dalla utilitas che essa
arreca alle singole unità immobiliari, indipendentemente dal regime di
proprietà (Cass. Sez. 2, 16 ottobre 2020, n. 22573), ove si voglia
giustificare il concorso dei condomini nelle spese di manutenzione di un
bene di proprietà esclusiva, perché nella specie gravato di servitù in
favore del condominio, ciò deve farsi in proporzione dei rispettivi vantaggi.
La Corte d’appello di Genova ha egualmente errato nel fare applicazione
dell’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., desumendo dalla limitata costituzione
del fondo speciale una “volontà dell’assemblea di deliberare un costo dei
lavori più contenuto di quelli messi a capitolato”, ovvero “che questa fosse
la quantificazione dei lavori approvata”.
La deliberazione assembleare imposta dall’art. 1135, comma 1, n. 4), c.c.
deve determinare l’oggetto delle opere di manutenzione straordinaria, e
quindi anche l’ammontare dei lavori, e poi ripartire le relative spese (Cass.
Sez. 6 – 2, 10/09/2020, n. 18793).
Lo stesso art. 1135, comma 1, n. 4), c.c., come modificato dapprima dalla
legge n. 220 del 2012 e poi dal d.l. n. 145 del 2013, convertito nella legge
n. 9 del 2014, prescrive, inoltre, che la medesima delibera di
approvazione di interventi di manutenzione straordinaria o di innovazioni
provveda “obbligatoriamente” a costituire un preventivo fondo speciale di
importo pari all’ammontare predeterminato dei lavori, ovvero, se sia così
previsto dal contratto, un fondo pari ai singoli pagamenti dovuti in
funzione del progressivo stato di avanzamento delle opere. L’art. 1135,
comma 1, n. 4 c.c., imponendo l’allestimento anticipato del fondo speciale
“di importo pari all’ammontare dei lavori”, configura, pertanto, una
ulteriore condizione di validità della delibera di approvazione delle opere
indicate, la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice in sede di
impugnazione ex art. 1137 c.c.
E’, dunque, dal testo della deliberazione assembleare che approva le opere
di manutenzione straordinaria dell’edificio che deve necessariamente
emergere il prezzo dei lavori, al cui importo occorre che equivalga quello
del fondo speciale nella prima ipotesi di cui all’art. 1135, comma 1, n. 4,
c.c., non potendo, viceversa, trarsi implicitamente dall’importo del fondo
in concreto costituito quale sia l’ammontare delle spese necessarie.
Il ricorso va perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata,
con rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, che
procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi agli enunciati
principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa,
anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di
Genova in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile
della Corte suprema di cassazione, il 13 maggio 2022.
Il Presidente
LUIGI GIOVANNI LOMBARDO