Revisione tabelle millesimali

CORTE DI CASSAZIONE,
Sez. II civ., ord. 11.9.2017, n. 21043

Fatti di causa
Rilevato che:
con citazione notificata il 15.6.1999, P.M.F., condomino del fabbricato sito a …, domandò la revisione delle tabelle millesimali del condominio poiché successivamente alla relativa approvazione erano state trasformate alcune unità immobiliari che le avevano rese non più rispondenti allo stato dei luoghi; dedusse, in particolare, che alcuni locali del pianterreno, già destinati a deposito e di proprietà della condomina D.G., erano stati fusi in un’unica unità immobiliare a destinazione abitativa, ed analoghe trasformazioni avevano interessato altre unità, di proprietà dei condomini S.S. e D.M.L.;
dopo la costituzione in giudizio dei condòmini controinteressati e di altri condòmini, disposta dapprima l’integrazione nei confronti dei restanti (alcuni dei quali rimasti contumaci), il tribunale respinse la domanda compensando le spese;
P.M.F. appellò la sentenza; proposero appello incidentale i condòmini S.S., D.M.L. e G., i quali chiesero l’elaborazione di nuove tabelle millesimali previa esclusione del computo delle superfici convenzionali di alcune pertinenze; si costituirono inoltre aderendo all’appello principale i condòmini B.E. ed L.R.A., mentre il condomino P.F.D. chiese il rigetto di ogni gravame;
svolto un supplemento di istruttoria, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza impugnata, dispose la modifica delle tabelle condominiali – limitatamente a quella generale di proprietà ed a quella di riparto delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale – in conformità all’elaborato depositato dal consulente tecnico nominato in sede di appello, da ritenersi parte integrante della sentenza;
i giudici di appello ritennero in particolare che ricorresse il presupposto di cui all’art. 69 disp. att. cod. civ. per la revisione, essendo intervenuta una variazione di consistenza e mutamento di destinazione d’uso dell’unità immobiliare di proprietà di D.G., nel senso specificamente accertato dalla disposta consulenza integrativa; escluse invece che analoga variazione fosse intervenuta in relazione alla proprietà di S.S. e D.M.L.;
avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione P.M.F. e F.D. sulla base di due motivi; gli intimati B.E. ed L.R.A. hanno depositato controricorso in adesione; i restanti intimati non hanno svolto attività difensiva.

Ragioni della decisione
Considerato che:
con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 68 disp. Att. cod. civ., anche in relazione agli artt. 817, 818, 1123, 1124, 1126 e 1136 cod. civ., dolendosi del fatto che la corte d’appello, nel valutare la sussistenza o meno di variazioni nella quota di pertinenza dei condòmini, ha imposto al consulente nominato di non valutare – ai fini della determinazione dei valori di piano con riguardo alle unità immobiliari interessate dalle trasformazioni – i vani esterni alle proiezioni verticali del fabbricato ed alcune pertinenze, ed in particolare il ripostiglio ed il bagno facenti parte dell’unità di proprietà D.G. Ed il terrazzo a livello, i giardini e le aree di rispetto, la tettoia e l’area scoperta facenti parte dell’unità di proprietà di S.S. e D.M.L., questi ultimi elementi in quanto esterni al perimetro condominiale;(omissis)
questa Corte ha infatti più volte affermato (cfr. Cass. 25.9.2013, n. 21950; Cass. 1.7.2004, n. 12018) che il giudice investito della domanda di revisione delle tabelle millesimali deve computare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi (superficie, altezza di piano, luminosità, esposizione) che incidono sul valore effettivo di esse;
pertanto, ai fini della redazione delle tabelle millesimali di un condominio, il valore di ogni piano o porzione di piano va determinato prendendo in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di proprietà esclusiva (quali l’estensione) che gli elementi estrinseci (quali l’esposizione), nonché le eventuali pertinenze delle proprietà esclusive (tra le quali la richiamata Cass. n. 12018/2004 menziona i giardini in proprietà esclusiva di singoli condòmini), in quanto consentono un migliore godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell’immobile;
a tale principio non si è uniformata la sentenza impugnata, che con richiamo al supplemento di consulenza tecnica esperita, e senza tener conto delle diverse allegazioni svolte da alcune parti al riguardo, ha escluso dal computo dei valori delle unità immobiliari oggetto di indagine le pertinenze che fuoriescono dalle proiezioni del perimetro dell’edificio condominiale;
il ricorso deve pertanto essere accolto e la sentenza cassata con il rinvio della causa anche per le spese di questo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, la quale si pronuncerà in conformità del seguente principio:
“ai fini della redazione delle tabelle millesimali di un condominio, per determinare il valore di ogni piano o porzione di piano occorre prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di proprietà esclusiva che gli elementi estrinseci, nonché le eventuali pertinenze delle proprietà esclusive, in quanto consentono un migliore godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell’immobile”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, la quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

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Danni morali in condominio

[CORTE DI CASSAZIONE – Sez. VI civ., ord. 11.12.2017, n. 29598]

Rilevato che:
G.G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano con ricorso depositato ai sensi dell’art. 702 bis cod. proc. civ. M.P. chiedendo il risarcimento del danno nella misura di euro 70.000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello G.G., chiedendo il risarcimento del danno nella misura di euro 30.000. Con sentenza di data 4 marzo 2015 la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello.
Osservò la corte territoriale quanto segue:
la provenienza delle infiltrazioni nella guaina impermeabilizzante del condominio dalle radici delle piante di proprietà dell’appellante (peraltro confermata dalla relazione di accertamento tecnico preventivo) era stata solo congetturata dall’amministratore M.P. nella lettera del 24 settembre 2010, che era quindi priva di valenza rivelatrice della volontà di nuocere alla reputazione del G.G., della quale non era stata peraltro provata la compromissione. Come affermato dal giudice di prime cure, nessuna prova era stata fornita dell’infondatezza della richiesta, con la missiva del 28 febbraio 2012, del pagamento di spese condominiali per euro 4.814 (missiva che, secondo l’appellante, lo avrebbe fatto passare per condomino moroso), essendo stato chiarito con la successiva lettera del 26 marzo 2012 che, avendo il G.G. corrisposto euro 3.013,46, la somma di Euro 4.814,00 doveva intendersi riferita alle spese straordinarie per i lavori di riparazione delle guaine, con riserva di conguaglio nel caso di minori costi e dichiarata disponibilità all’approvazione di un diverso riparto. Il tenore della lettera non era connotato da ostilità nei confronti dell’appellante, né poteva considerarsi una sorta di risposta provocatoria alla proposizione da parte del G.G. di ricorso a seguito dell’espletato ATP, tanto più che la relativa azione era indirizzata nei confronti del condominio e non nei confronti dell’amministratore. Non era stato dimostrato che da parte dei condòmini, e comunque nel contesto socio-ambientale in cui il G.G. svolgeva la propria attività di medico, fosse intervenuto un mutamento in peius dell’atteggiamento nei confronti dell’appellante e vi era totale carenza di prova, anche in termini presuntivi, del danno asseritamente patito.
Ha proposto ricorso per cassazione G.G. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito.
È stata presentata memoria.

Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 cod. civ. in relazione agli artt. 1710 ss., 1129- 1130, 2697 cod. civ., 115, 116 e 702 bis cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che nella lettera del 24 settembre 2010 l’amministratore non si era limitato ad ipotizzare una «responsabilità delle radici», ma aveva prefigurato la responsabilità del G.G. tale da comportare che i costi fossero a carico di chi aveva cagionato il danno, posizione smentita dall’ATP (che aveva parlato di generale situazione di forte presenza di radici, senza attribuirla ad un condomino specifico) e che inoltre l’amministratore aveva omesso di controllare l’attività della ditta incaricata dei lavori, la quale, effettuato lo scavo, aveva interrotto i lavori, causando la dilatazione dell’estensione delle infiltrazioni. Aggiunge che la mancata costituzione del M.P. nel giudizio di primo grado doveva far ritenere come ammessi i fatti dedotti dall’attore.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 cod. civ., 595 cod. pen., 112-116, 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.. Osserva il ricorrente che la lettera del 28 febbraio 2012 era del tutto correlabile alla domanda proposta dal G.G. ai sensi dell’art. 702 bis, costituendo la lettera del 26 marzo 2012 una rettifica solo parziale della precedente missiva ed evidenziando proprio il riconoscimento del pagamento della somma di euro 3.013,46 la mala fede dell’amministratore.
Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. e 1226-2056 cod. civ.. Osserva il ricorrente che già gli altri condòmini avevano contestato al M.P. di avere omesso quale amministratore di controllare l’operato dell’impresa e che le dimissioni da amministratore, definitive dopo il ricorso per la revoca del medesimo proposto dal G.G., comportavano il riconoscimento della propria responsabilità. Aggiunge che per il M.P. era meglio scaricare sulle iniziative intraprese dal G.G. ogni responsabilità, in modo da occultare le proprie negligenze, e che era stato in modo quanto meno colposo raffigurato il ricorrente come danneggiatore di beni condominiali e condomino moroso.
I motivi di ricorso, da valutare unitariamente, sono inammissibili.
Le censure, benché rubricate come violazione di legge, mirano al mero riesame nel merito delle circostanze di fatto. Il ricorrente si limita ad enumerare una serie di circostanze fattuali, già oggetto di esame del giudice di appello, allo scopo di pervenire ad una valutazione delle risultanze processuali di segno diverso rispetto a quella cui è pervenuto il giudice di merito, valutazione che è preclusa nella presente sede di legittimità.
(omissis)
Con riferimento infine al mancato rilievo da parte del Tribunale dei fatti come ammessi, quale conseguenza della contumacia in primo grado del convenuto, a parte la neutralità dal punto di vista processuale della contumacia e l’impossibilità di considerarla come ammissione di colpa (Cass. 21 novembre 2014, n. 24885), va osservato che, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., il ricorrente non ha specificatamente indicato se la questione abbia costituito motivo di appello.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
(omissis)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.