Sopraelevazione e decoro architettonico

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 28.6.2017, n. 16258

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
F.B. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1132/2016 dell’8 febbraio 2016. La sentenza impugnata ha accolto in parte l’appello proposto da M.L. (e altri), ed ha perciò ordinato a F.B. la demolizione del manufatto coperto (tettoia con angolo cottura) realizzato in sopraelevazione su porzione del suo terrazzo, sito al piano attico dell’edificio condominiale di via …, in quanto lesivo del decoro architettonico, dovendosi questo riguardare non soltanto con riferimento alla facciata principale del palazzo. La Corte di Roma ha ricavato dall’espletata CTU elementi di convincimento per concludere che la tettoia realizzata dalla F.B. fosse elemento pregiudizievole per l’estetica del prospetto dell’edificio, ben visibile dalla strada. La Corte d’appello ha ritenuto sussistente anche il pregiudizio economico subito dal fabbricato per la manomissione del suo decoro architettonico.
Resistono con controricorso M.L. (e altri).
Il primo motivo di ricorso di F.B. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1127 c.c., e dell’art. 116 c.p.c., sostenendo che la lesione del decoro architettonico debba considerarsi soltanto con riferimento alla facciata principale dell’edificio.
Anche il secondo motivo di ricorso di F.B. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1127 c.c., e dell’art. 116 c.p.c., per aver la Corte d’Appello erroneamente ritenuto sussistente un pregiudizio economico per il fabbricato.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c.
I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano del tutto infondati.
È noto come l’art. 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell’edificio che non la consentono, ovvero dall’aspetto architettonico dell’edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti.
L’aspetto architettonico, cui si riferisce l’art. 1127, comma 3, c.c., quale limite alle sopraelevazioni, sottende, peraltro, una nozione diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dagli artt. 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore.
Il giudizio relativo all’impatto della sopraelevazione sull’aspetto architettonico dell’edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale, e verificando l’esistenza di un danno economico valutabile, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito (omissis).
Non rileva decisivamente il distinguo che pone la ricorrente fra facciata principale, o meno, dell’edificio, in quanto, nell’ambito del condominio edilizio, le facciate stanno ad indicare l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che connotano il fabbricato, imprimendogli una fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico. La facciata rappresenta, quindi, l’immagine stessa dell’edificio, la sua sagoma esterna e visibile, nella quale rientrano, senza differenza, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile.
Una volta riscontrato, poi, il pregiudizio all’aspetto architettonico, esso si traduce in una diminuzione del pregio estetico e quindi pure economico del fabbricato.
Deve ancora una volta ribadirsi (visto il concreto contenuto delle censure in esame, che invocano sotto certi profili a questa Corte una rivalutazione delle emergenze istruttorie, e non un controllo di legittimità) che l’indagine rivolta a stabilire se in concreto ricorra il denunciato danno all’aspetto della facciata rientra nei poteri del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1297 del 07/02/1998), se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione.
(omissis)

P.Q M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.