Parapetti dei balconi e azioni condominiali

CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ. Sent. 14.12.2017, n. 30071

Fatti di causa
A.C., proprietario di appartamento in …, ha proposto ricorso, articolato in unico motivo, avverso la sentenza 24 giugno 2015, n. 2859/2015, resa dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale, in accoglimento dell’impugnazione formulata da V.P., ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Benevento in data 22 gennaio 2009 per difetto di litisconsorzio necessario. Il giudizio aveva avuto inizio con citazione del 20 luglio 2006 con cui A.C. aveva convenuto davanti al Tribunale di Benevento V.P., per sentire condannare quest’ultimo ad eliminare le cause della caduta d’acqua dal balcone dell’unità immobiliare di sua proprietà sul sottostante balcone di proprietà di A.C.. Il Tribunale, accogliendo la domanda di A.C., aveva condannato V.P. ad eseguire le necessarie opere indicate dal CTU per l’eliminare il denunciato inconveniente. La Corte d’Appello di Napoli accertava, tuttavia, che i parapetti aggettanti dei balconi dell’edificio di via …, per loro forma, materiali e colore, avessero funzione di accrescere la gradevolezza estetica del fabbricato, e perciò rientrassero tra le parti comuni ex art. 1117 c.c., di proprietà di tutti i condòmini, con conseguente difetto del necessario contraddittorio e rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1.
V.P. si difende con controricorso.
(omissis)

Ragioni della decisione
(omissis)
L’unico motivo del ricorso di A.C. denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1117 c.c. ed all’art. 1125 c.c., nonché all’art. 116 c.p.c.”. Al di là dell’impropria rubrica del motivo (omissis), sostanza della censura intende contestare che il parapetto aggettante del balcone dell’appartamento del V.P. rientri tra le parti comuni. Il ricorrente, inoltre, evidenzia come una delle tre alternative soluzioni correttive prospettate dal CTU (peraltro quella poi in concreto adottata dal Tribunale) non comporterebbe interventi su elementi decorativi del balcone.
La censura si rivela priva di fondamento.
Per orientamento consolidato di questa Corte, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sez. 2, 21/01/2000, n. 637 del; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14576; Cass. Sez. 2, 30/04/2012, n. 6624). L’accertamento del giudice del merito che il parapetto del fronte dei balconi degli appartamenti di un edificio assolva prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio (quale, nella specie, quello operato dalla Corte d’Appello di Napoli, alla tregua delle risultanze della CTU) costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ciò premesso, l’azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto degli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, relativi ai frontali ed ai parapetti), costituenti, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 3, va proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari, essendo altrimenti la sentenza “inutiliter data” (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11109 del 15/05/2007).
Si consideri, infine, che la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi deve essere valutata non “secundum eventum litis” (ovvero, come assume il ricorrente, sulla base delle diverse modalità attuative dell’intervento tecnico di ripristino del balcone che il giudice potrebbe disporre), ma al momento in cui l’azione sia proposta, valutando se la stessa, sulla base del “petitum” (e, cioè, del risultato perseguito in giudizio dall’attore con la sua domanda), sia potenzialmente diretta anche ad una modificazione della cosa comune.
Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.
(omissis)

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.