Compenso del mediatore e preliminare di compravendita
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4505/2019) proposto da:
A.A. (C.F(omissis)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. Giuseppe Pompeo Pinto, nel cui studio in Roma, via della Mendola n. 32, ha eletto domicilio;
– ricorrente –
contro
B.B. (C.F(omissis));
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1665/2018, pubblicata in data 11 luglio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano.
Svolgimento del processo
1.- B.B. conveniva, davanti al Tribunale di Prato, A.A., al fine di sentire accertare l’inadempimento del promittente alienante convenuto all’obbligo di stipulazione del contratto definitivo di vendita immobiliare, con la conseguente sua condanna al risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali, nella misura di euro 25.000,00 ovvero nella diversa somma, maggiore o minore, risultante di giustizia.
Rimaneva contumace A.A..
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 783/2013, depositata il 6 giugno 2013, accoglieva, per quanto di ragione, le domande attoree e, per l’effetto, condannava A.A. a corrispondere, in favore di B.B., la minor somma di euro 2.000,00, quale rimborso della caparra confirmatoria versata, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per responsabilità precontrattuale, oltre rivalutazione ed interessi da lucro cessante.
2.- Proponeva appello avverso la sentenza di primo grado B.B., la quale lamentava che non si trattava di responsabilità precontrattuale, ma contrattuale, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate sotto il profilo delle voci di danno risarcibile.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione A.A., il quale contestava le ragioni addotte a fondamento del gravame e ne chiedeva il rigetto.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva parzialmente l’appello spiegato e, per l’effetto, previo accertamento dell’inadempimento all’obbligo assunto dal promittente alienante con il contratto preliminare di vendita immobiliare stipulato tra le parti, condannava A.A. al pagamento, in favore di B.B., dell’ulteriore somma di euro 5.400,00, oltre rivalutazione e interessi dal 13 gennaio 2010 sino alla pubblicazione della pronuncia e limitatamente ai soli interessi legali dalla pubblicazione sino al soddisfo, confermando, per il resto, la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, in relazione alle provvigioni spettanti all’agenzia immobiliare “Studio Soccorso Sas affiliato Tecnocasa”, era in atti la prova che l’esborso preteso fosse stato effettivamente sostenuto, come da fattura n. (omissis) del 13 gennaio 2010, debitamente quietanzata, poiché era stata apposta in calce l’annotazione “saldato”, con timbro a secco dell’agenzia immobiliare; b) che era dunque “ragionevolmente certo” che la promissaria acquirente avesse versato alla predetta agenzia la somma di euro 5.400,00 nella ovvia considerazione del giusto diritto di quest’ultima di esigere il versamento delle proprie provvigioni per avere correttamente procurato alle parti la conclusione dell’affare, come si evinceva chiaramente dalla sottoscrizione che le stesse parti avevano apposto sulla proposta/accettazione depositata nel fascicolo di parte appellante.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, A.A..
È rimasta intimata B.B..
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento agli artt. 1199, 2702 e 2708 c.c., per avere la Corte di merito attribuito alla fattura n. (omissis) del 13 gennaio 2010 dell’agenzia immobiliare, per un importo di euro 5.400,00, il valore di quietanza di pagamento, benché il timbro apposto avesse il mero fine di attribuire la paternità della fattura alla società autrice del documento e la dicitura “saldato”, posta sopra il timbro a penna e con grafia tremolante, non fosse di certa riconduzione al creditore.
Ad ogni modo, osserva l’istante che in detta fattura non sarebbe stato indicato che la mediazione dell’agenzia immobiliare si riferisse alla pratica A.A., in quanto nell’oggetto sarebbe stata semplicemente riportata l’indicazione “saldo per intermediazione immobiliare”, sicché sarebbe difettata la debita indicazione sia dell’ammontare della somma pagata sia del titolo per il quale il pagamento era avvenuto, avendo la resistente conferito altri mandati all’agenzia immobiliare, nonché la data del pagamento e le modalità di tale pagamento.
1.1.- Il motivo è infondato.
In primis, la contestazione della paternità della dicitura “saldato”, come riportata nella fattura emarginata, costituisce circostanza nuova, che non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, implicando un accertamento in fatto che non può essere demandato a questa Corte.
Parte istante non ha, infatti, dato atto di avere già sollevato tale obiezione nei gradi di merito, in che termini e in quale specifico frangente processuale.
E peraltro detta contestazione si pone in insanabile contrasto con le ulteriori argomentazioni sviluppate nella medesima doglianza, secondo cui la quietanza sarebbe generica (il che postula che essa fosse riconducibile all’agenzia immobiliare).
In secondo luogo, nessuna violazione delle norme sostanziali richiamate ricorre, alla stregua dello stesso assunto del ricorrente.
Al riguardo, il rilascio della quietanza non richiede forme particolari, sicché essa può essere contenuta anche nella fattura che il creditore invii al proprio debitore e risultare da qualsiasi non equivoca attestazione dell’adempimento dell’obbligazione, come l’annotazione “pagato”, o altra equivalente, apposta sulla fattura, che riveli sia l’ammontare della somma pagata, sia il titolo per il quale il pagamento è avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene, solo in tal modo potendo rivestire l’efficacia probatoria privilegiata propria della scrittura privata, a norma dell’art. 2702 c.c.; né si richiede, peraltro, che la dichiarazione di quietanza annotata sulla fattura sia autografa, potendo la stessa essere costituita anche da un timbro dattiloscritto con la dicitura “pagato” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20644 del 08/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22655 del 31/10/2011; Sez. 2, Sentenza n. 2298 del 19/03/1996; Sez. 2, Sentenza n. 5919 del 26/05/1993).
Ora, lo stesso ricorrente ha dato atto che il pagamento di cui alla fattura n. (omissis) del 13 gennaio 2010, come da relativa quietanza
desumibile dal riferimento alla dicitura “saldato” apposta prima del timbro a secco dell’agenzia immobiliare, riportava l’importo pari ad euro 5.400,00 e la causale “saldo per intermediazione immobiliare”.
A fronte di questi riferimenti, l’onere della prova di una diversa imputazione (e segnatamente dell’asserito conferimento di altri incarichi alla stessa agenzia) sarebbe gravato sulla parte interessata a contestarne la rilevanza rispetto alla fattispecie (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27247 del 25/09/2023; Sez. 6-1, Ordinanza n. 26275 del 06/11/2017; Sez. 6-3, Ordinanza n. 24837 del 21/11/2014).
2.- Con il secondo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento agli artt. 1460, 1988, 2700, 2730, 2732 e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la fattura indicata, così come apparentemente quietanzata, fosse idonea a costituire piena prova contro il terzo circa l’avvenuto pagamento in favore dell’agenzia immobiliare.
Ad avviso dell’istante, dunque, attraverso l’espressione “risulta ragionevolmente certo”, la Corte d’appello avrebbe attribuito ad una quietanza di pagamento intervenuta tra una parte processuale ed un terzo estraneo al processo una valenza probatoria di fatto parificata ad una confessione stragiudiziale, valevole quale fatto estintivo dell’obbligazione della B.B. nei confronti dell’agenzia immobiliare, mentre la quietanza intervenuta tra altri soggetti sarebbe stata priva degli effetti propri della confessione e avrebbe potuto assumere soltanto il valore di un documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, primo comma, disp. att. c.p.c., per avere la Corte distrettuale adottato una motivazione apparente, omettendo ogni indicazione degli elementi da cui avrebbe tratto il proprio convincimento oppure indicando elementi senza un’approfondita disamina logico-giuridica.
E ciò perché le quietanze di pagamento intervenute tra una parte processuale e un terzo avrebbero mero valore indiziario e, nella specie, sarebbe stata carente la ragione giustificativa del pagamento, assente nella fattura.
4.- Con il quarto motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte del gravame, in sede di valutazione delle prove, attribuito alla quietanza di pagamento con timbro di un terzo valore legale tipico di confessione stragiudiziale, mentre tale documento avrebbe dovuto essere liberamente valutato dal giudice.
5.- I tre motivi – che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica – sono infondati.
E tanto perché la sentenza impugnata non ha affatto attribuito alla fattura quietanzata la valenza di piena prova, sulla scorta della portata confessoria che essa avrebbe avuto tra le parti del rapporto obbligatorio da cui ha tratto origine, bensì la valenza di mero elemento indiziario, idoneo a ritenere che la promissaria acquirente avesse sostenuto la spesa conseguente alla stipulazione del preliminare, corrispondente alla provvigione versata in favore dell’agenzia immobiliare, cui si era rivolta per manifestare adesione all’acquisto del cespite.
Sicché non risulta perpetrata alcuna lesione del precetto a mente del quale la quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale in ordine al fatto estintivo dell’obbligazione ai sensi dell’art. 2735 c.c. e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, se e nei limiti in cui la stessa sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, l’autore e il destinatario di quella dichiarazione di scienza. Ne consegue che, nel giudizio promosso nei confronti di un terzo, la suddetta quietanza non ha l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale, ma unicamente il valore di documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 38975 del 07/12/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 24690 del 19/10/2017; Sez. 6-3, Ordinanza n. 21258 del 08/10/2014; Sez. 3, Sentenza n. 23318 del 18/12/2012).
Per converso, la “ragionevole certezza” circa il pagamento della provvigione è stata desunta dalla fattura quietanzata dall’agenzia immobiliare, in adesione al principio secondo cui le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c., né quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., atteso che esse costituiscono prove atipiche, il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21554 del 07/10/2020; Sez. 3, Sentenza n. 23155 del 31/10/2014; Sez. U, Sentenza n. 15169 del 23/06/2010).
Nella fattispecie, la prova del pagamento della provvigione in favore dell’agenzia immobiliare è stata tratta – con debite e non già apodittiche argomentazioni – non solo dalla asettica valutazione della fattura quietanzata, ma anche dalla plastica considerazione del giusto diritto di quest’ultima di esigere il versamento delle proprie provvigioni per avere correttamente procurato alle parti la conclusione dell’affare, come si evinceva chiaramente dalla sottoscrizione che le stesse parti avevano apposto sulla proposta/accettazione depositata nel fascicolo di parte appellante.
Infatti, nel contratto di mediazione, il diritto alla provvigione di cui all’art. 1755 c.c. sorge nel momento in cui può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. (o per la risoluzione) del contratto stesso, con la conseguenza che la provvigione spetta al mediatore anche quando questi sia intervenuto per consentire la stipula tra le parti di un contratto preliminare di vendita di un immobile (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 31431 del 13/11/2023; Sez.
6-2, Ordinanza n. 28879 del 05/10/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 20132 del 22/06/2022; Sez. 2, Sentenza n. 30083 del 19/11/2019; Sez. 3, Sentenza n. 22273 del 02/11/2010; Sez. 2, Sentenza n. 13260 del 09/06/2009).
Sicché tale accertamento è avvenuto in conformità alla regola sulla scorta della quale le scritture provenienti da terzi (o formate da una parte e da un terzo) non hanno efficacia di prova piena in ordine ai fatti da esse attestati o alla data del loro verificarsi, ma sono rimesse alla libera valutazione del giudice di merito e possono, in concorso con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia, che ne confortino l’attendibilità, fornire utili elementi di convincimento, specialmente se di esse sia provata, o non sia contestata, la veridicità formale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23788 del 07/11/2014; Sez. L, Sentenza n. 23261 del 08/11/2007; Sez. 3, Sentenza n. 14122 del 27/07/2004).
6.- In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite, stante che la controparte del ricorrente è rimasta intimata.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-b/s dello stesso art. 13, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 12 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2024.