Demolizione
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23360 Anno 2021
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: GALTERIO DONATELLA
Data Udienza: 14/05/2021
SENTENZA
sul ricorso proposto da
CIRILLO GIUSEPPE, nato a Napoli il 19.1.1974
avverso la ordinanza in data 6.10.2020 del Tribunale di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Luigi Birritteri che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 6.10.2020 il Tribunale di Napoli, adito con incidente
di esecuzione, ha rigettato la richiesta svolta dal Comune di Cardito di revoca o
sospensione dell’ingiunzione di demolizione emessa dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Napoli in forza della sentenza pronunciata in data 20.3.2000
e divenuta irrevocabile il successivo 8.5.2020 con cui Costanzo Sebastiano era
stato condannato per abusi edilizi consistiti nella realizzazione in assenza di
permesso di costruire ed in violazione della normativa antisismica di due
appartamenti collegati da una scala interna, rimasti allo stato grezzo, i quali erano
stati acquisiti ai sensi dell’art. 31, quinto comqia d.P.R. 380/2001 al patrimonio
comunale a seguito di un’ordinanza di demolizione emessa dall’ente locale in data
15.7.1999 nei confronti del contravventore, rimasta inadempiuta nel termine dei
novanta giorni previsti ex lege. A fondamento del diniego il G.E. ha ritenuto che la
delibera comunale con la quale era stata dichiarata la prevalenza dell’interesse
pubblico alla conservazione del manufatto de quo, costituito dalla sua destinazione
dell’immobile ad edilizia residenziale e sociale, alla demolizione, fosse illegittima
in ragione della sua genericità, difettando ogni valutazione in ordine alle esigenze
giustificative della scelta dell’immobile, che avrebbe dovuto essere parametrata
alle sue specifiche e concrete caratteristiche e tenere conto delle problematiche
connesse alla sua abitabilità, tali da precludere in astratto la possibilità di recupero
del bene.
2. Avverso il suddetto provvedimento Giuseppe Cirillo, in qualità di Sindaco
pro-tempore del Comune di Cardito ha proposto, per il tramite del proprio
difensore, ricorso per cassazione svolgendo un unico pluriarticolato motivo con il
quale contesta, invocando il vizio motivazionale, l’asserita illegittimità della
delibera comunale alla luce della motivazione resa tale da giustificare ampiamente
l’esercizio della discrezionalità nella scelta dell’immobile che, una volta entrato a
far parte del suo patrimonio consentiva all’ente locale di destinarlo alle finalità
ritenute con suo insindacabile apprezzamento più opportune, nella specie
costituite dalla edilizia residenziale e sociale. Evidenzia sia la destinazione certa e
concreta impressa all’immobile de quo dalla delibera n. 55/2019, provvedimento
avente una sua specifica configurazione, diverso da ogni altro atto emanato in
materia, sia la natura pubblica dell’interesse perseguito, facendo l’edilizia
residenziale e sociale parte dei servizi rivolti alla produzione di beni ed utilità per
le esigenze collettive volte a tutelare i soggetti meno abbienti non in grado di
sostenere i costi del libero mercato nella ricerca di un’abitazione, rispetto alle quali
era indifferente la posizione del condannato che solo a procedimento concluso
avrebbe potuto essere esaminato per verificare se potesse fruirne o invece
disponesse di altre soluzioni abitative. Sostiene inoltre, eccependo sul punto il
travisamento della prova, la conformità della delibera consiliare all’art. 31 d.P.R.
380/2001 essendo stato verificato che la zona in cui è ubicato l’immobile è dotata
di opere di urbanizzazione, che la costruzione non contrasta con gli interessi
urbanistici, ambientali e di rispetto dell’assetto idrogeologico e che l’intero
territorio comunale non è assoggettato a vincoli paesaggistici o ambientali, e
l’irrilevanza della violazione della normativa antisismica nella sua edificazione
esulando tale aspetto dagli interessi urbanistici, ambientali e di rispetto
dell’assetto idrogeologico ai quali soltanto deve parametrarsi la dichiarazione del
prevalente interesse pubblico costituendo i suddetti interessi espressamente
menzionati dall’art. 31 un numero clausus, insuscettibile di estensione analogica,
fermo restando che come previsto dalla delibera in contestazione gli oneri relativi
all’eventuale mancanza di agibilità dell’immobile erano stati nel bando posti a
carico del beneficiario dell’assegnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Pur dovendosi ritenere il ricorrente, diversamente da quanto assume il
Procuratore Generale, pienamente legittimato alla presente impugnativa avendo il
Comune, in nome e per conto del quale il Cirillo agisce nella veste di Sindaco protempore, acquisito la proprietà dell’immobile oggetto dell’ordine di demolizione a
seguito dell’inottemperanza del condannato all’ordinanza di demolizione
impartitagli dallo stesso ente locale ai sensi dell’art. 31 d.P.R.380/2001, il ricorso
deve essere dichiarato ciò nondimeno inammissibile per mancanza di specificità.
Invero il ricorrente non si confronta con i puntuali rilevi spesi dalla pronuncia
impugnata che, avendo posto a fondamento del diniego la sostanziale genericità
del provvedimento comunale di destinazione dell’immobile de quo al
soddisfacimento delle finalità dell’edilizia sociale, avrebbe richiesto una specifica
confutazione dell’esclusione di sottostanti specifiche e concrete esigenze di natura
pubblica tali da giustificare la permanenza dell’opera rispetto al ripristino dello
status quo ante.
E’ affermazione costante nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che
l’ordine di demolizione impartito dal giudice costituisce espressione di un potere
sanzionatorio autonomo e distinto rispetto all’analogo potere dell’autorità
amministrativa, con la conseguenza che esso deve essere eseguito in ogni caso,
con la sola eccezione dell’adozione di una deliberazione consiliare, per l’esistenza
di prevalenti interessi pubblici, e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti
interessi urbanistici o ambientali.
La natura eccezionale di tali ipotesi rispetto a quella che dovrebbe essere la
ordinaria conseguenza, ovvero l’esito demolitorio, della illiceità di condotte poste
in essere in violazione della disciplina urbanistica, impone una interpretazione
restrittiva dei presupposti cui tali ipotesi sono condizionate e legittima, allo stesso
tempo, il giudice dell’esecuzione a sindacare la sussistenza dei medesimi,
disapplicando l’atto amministrativo. Analogamente a quanto avviene con
riferimento alla concessione in sanatoria, anch’essa evidentemente di carattere
eccezionale rispetto all’ordinaria disciplina sanzionatoria in materia urbanistica, e
al condono si è affermato infatti che il giudice dell’esecuzione ha il dovere di
controllare la legittimità del provvedimento amministrativo, disapplicandolo ove lo
stesso sia stato emesso in assenza delle condizioni formali e sostanziali di legge
previste per la sua esistenza (Sez. 3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, m.
243905), deve ritenersi che anche per quanto concerne la delibera consiliare con
la quale è stata dichiarata la prevalenza dell’interesse pubblico alla conservazione
dell’immobile non vi sia alcun ridimensionamento dei poteri di sindacato da parte
del giudice chiamato all’esecuzione della sanzione demolitoria sul provvedimento
amministrativo che dovrà in tal caso valutare, in conformità a quanto già ritenuto
da questa Corte, la sussistenza delle seguenti condizioni: 1) assenza di contrasto
con rilevanti interessi urbanistici e, nell’ipotesi di costruzione in zona vincolata,
assenza di contrasto con interessi ambientali: in quest’ultimo caso l’assenza di
contrasto deve essere accertata dall’amministrazione preposta alla tutela del
vincolo; 2) adozione di una formale deliberazione del consiglio con cui si dichiari
formalmente la sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di
contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la
destinazione del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc. (Sez. 3, n. 11419,
11 marzo 2013; Sez. 3, n. 41339 del 10 ottobre 2008, Castaldo e altra, non
massimata).
In particolare, per quel che riguarda il sindacato della delibera consiliare in
oggetto, deve ritenersi rientrare nei poteri del giudice verificare che
l’incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con la delibera
consiliare sia attuale e non meramente eventuale, non essendo evidentemente
consentito fermare l’esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta
esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti previsti dall’art. 31 cit.,
giacché l’ordinamento non può attendere sine die l’adozione di una possibile
quanto eventuale deliberazione. Solo a partire dall’adozione di una delibera di tal
fatta è dunque preclusa al giudice la potestà di disporre la demolizione del
manufatto e solo a partire da tale momento l’inottemperanza dell’ingiunto
all’ordine di demolizione impartito dall’autorità giudiziaria potrebbe ritenersi
giustificata.
Nella specie, il provvedimento impugnato ha ritenuto di non ravvisare, nella
delibera consiliare n.55 del 26.7.2019 richiamata, i presupposti richiesti dalla
legge, in particolare osservando come le valutazioni cui dovrebbe conseguire la
non eseguibilità della demolizione (ovvero, appunto, il prevalente interesse
pubblico e l’assenza di contrasto del manufatto con rilevanti interessi urbanistici),
benché dichiarate formalmente sussistenti, di fatto siano state demandate ad una
fase successiva, essendosi previsto nella stessa delibera che l’immobile “verrà
destinato ad alloggio oggetto di alienazione per edilizia residenziale sociale”, senza
neppure dar conto delle specifiche esigenze che giustificavano la scelta effettuata.
Non basta in altri termini individuare una finalità pubblica tout co’irt, natura che
inequivocabilmente riveste, in quanto volta a sodisfare le esigenze abitative dei
soggetti meno abbienti, l’edilizia residenziale sociale, ma occorre invece
l’indicazione delle ragioni per le quali proprio quell’immobile costruito in violazione
delle norme urbanistiche e sismiche possa soddisfare le suddette finalità, ad
integrare le quali non è sufficiente affermare, così assume il ricorrente senza
neppure produrre in violazione del principio di autosufficienza del ricorso la
delibera consiliare, vieppiù necessaria ove si tratti dell’atto su cui si fonda l’asserito
travisamento della prova in ordine al suo contenuto (ex multis Sez. 4, n. 46979
del 10/11/2015 – dep. 26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053) che l’area di sedime
sia ubicata in zona già dotata delle opere di urbanizzazione (senza neppure
specificare se si tratti di quelle primarie o secondarie), né ripetere apoditticamente
la stessa formula di cui all’art. 31 d.P.R. 380/2001 relativa all’assenza di contrasto
della suddetta destinazione con gli interessi urbanistici, ambientali e di rispetto
dell’assetto idrogeologico, che non viene riempita di alcun contenuto concreto.
Lacune queste cui si aggiunge, come perspicacemente osservato dal G.E., la
mancanza di concretezza e attualità dell’interesse pubblico perseguito, in assenza
di qualsivoglia verifica dei requisiti di abitabilità dell’immobile soltanto demandata,
anch’essa /41541, futuro, all’iniziativa dell’eventuale assegnatario, a fronte
dell’accertata violazione della normativa antisismica, certamente rientrante tra i
rilevanti interessi urbanistici che presidiano la realizzazione degli interventi edilizi.
Ne consegue come il Tribunale partenopeo abbia, conformandosi ai principi
giurisprudenziali sopra enunciati, legittimamente escluso nella specie l’effetto
ostativo della demolizione, propriamente derivante, per quanto già detto, solo da
una valutazione in termini di attualità degli interessi pubblici alla conservazione
dell’opera e della mancanza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici.
Tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità” all’esito del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., l’onere delle
spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma in favore
della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso il 14.5.2021