Riconoscimento del diritto all’avviamento commerciale
Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 09/06/2021) 21/10/2021, n. 29343
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28395/2018 R.G. proposto da:
Carrozza Due S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Cosimo Faccenda, con domicilio eletto in Roma, Via Oslavia, 12, presso lo studio dell’Avv. Gerardo Romano Cesareo;
– ricorrente –
contro
Studio di Radiodiagnostica e Terapia Fisica di N.R. S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Troisi;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, n. 425/2018 depositata il 13 aprile 2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;
lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, formulate ai sensi e con le modalità previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali si chiede il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Salerno ha confermato la condanna della società Carrozza Due S.r.l., in quanto locatrice di immobile ad uso commerciale – del quale, in corso di causa, aveva già ottenuto lo spontaneo rilascio, essendo stata per tal motivo dichiarata cessata la materia del contendere sulla relativa domanda -, al versamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale in favore della società conduttrice Studio di Radiodiagnostica e Terapia Fisica di N.R. S.r.l., esercente attività di riabilitazione e radiologia.
Conformemente al primo giudice la corte campana ha ritenuto la fattispecie non riconducibile all’ipotesi prevista dell’art. 35 legge eq. can. che esclude il diritto alla detta indennità “in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori nonchè destinati all’esercizio di attività professionali…”.
Richiamato in tal senso il consolidato orientamento di legittimità – secondo cui, per stabilire se l’attività svolta nell’immobile locato abbia natura imprenditoriale o professionale, occorre avere riguardo non alla qualifica (professionale o meno) delle persone che vi lavorano, ma alla prevalenza, nell’ambito delle attività ivi esercitate, dell’elemento imprenditoriale o di quello- professionale, cosicchè anche l’attività del professionista può assumere natura commerciale quando l’organizzazione in forma di impresa sia assorbente rispetto a quella professionale – ha rilevato che nella specie deponessero per la prevalenza della prima componente sulla seconda: a) la complessità delle apparecchiature e delle dotazioni tecniche impiegate; b) la necessità di autorizzazioni comunali; c) il fatto che il conduttore era una società che, oltre ad avere sei dipendenti, aveva come oggetto sociale “l’istituzione, la realizzazione e la gestione di ambulatori medici e polispecialistici medici, centri di riabilitazione fisica.. istituzione e gestione di uno o più centri di diagnosi ecografica e radiologica… radiologia generale T.A.C., N.M.R., ecotomografia, doppler ultrasonografica, medicina nucleare…”; d) il rilievo che, nel contratto, l’attività cui l’immobile locato era destinato era descritta non come “studio medico” ma come “centro medico”, espressione che evoca l’esistenza di una struttura organizzata.
2. Per la cassazione di tale sentenza la società Carrozza Due S.r.l. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui resiste l’intimata depositando controricorso.
In vista dell’odierna udienza, fissata per la trattazione, il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti nè il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “violazione/falsa applicazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 34, comma 3; vizio di extrapetizione in violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.; nullità della sentenza e/o del procedimento”.
Rileva che, in primo grado, la conduttrice, nel resistere all’intimato sfratto per finita locazione, si era limitata a chiedere che il rilascio dell’immobile fosse condizionato all’accertamento dell’avvenuta corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale e non aveva chiesto nè l’accertamento del relativo diritto, nè pronuncia di condanna.
Denuncia, pertanto, la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., oltre che della L. n. 392 del 1978, art. 34, comma 3, “da parte del giudice sia di primo grado, sia d’appello, specie tenuto conto del fatto che, nell’atto di gravame, si è più volte fatto riferimento all’assenza di ogni diritto alla corresponsione dell’indennità”.
Soggiunge, sotto altro connesso profilo, che, non avendo la società conduttrice mai richiesto una sentenza di accertamento e condanna al pagamento dell’indennità, il venir meno della materia del contendere in ordine al rilascio dell’immobile “ha sostanzialmente comportato anche il venir meno dell’interesse ad agire (rectius a resistere)” in capo alla stessa, “se non ai fini della soccombenza virtuale”.
Conclusivamente, la ricorrente pone – sebbene non tenuta, essendo stato il relativo onere, come noto, eliminato, con l’abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c., L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) – il seguente quesito: “se, a fronte dell’eccezione di ritenzione del convenuto L. n. 392 del 1978, ex art. 34, comma 3, volta a paralizzare l’intimazione di rilascio dell’immobile locato per uso diverso da quello abitativo sull’assunto della mancata corresponsione dell’indennità di avviamento, la conseguente sentenza di condanna al pagamento di detto emolumento costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., anche tenendo conto del sopravvenuto venir meno dell’interesse a resistere nelle more del procedimento”.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 34 e 35; omessa pronuncia su motivo di appello e violazione dell’art. 112 c.p.c..
Lamenta omesso esame del motivo di appello con il quale si era criticata la pronuncia di primo grado per avere erroneamente indicato, in motivazione, l’elemento del “contatto con il pubblico” come dirimente in favore della pretesa di controparte, senza considerare il limite rappresentato dalla natura professionale dell’attività svolta.
4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 34 e 35, nonchè dell’art. 2697 c.c..
Lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto nella specie prevalente l’elemento imprenditoriale su quello professionale, utilizzando a tal fine indici formali che in realtà nulla dicono sulla effettiva e concreta attività esercitata dalla controparte e senza comunque spiegare perchè l’attività imprenditoriale nel caso di specie sia assorbente, con ciò violando anche l’art. 2697 c.c., dal momento che incombe sul conduttore l’onere di dar prova di tale vocazione.
4. Il primo motivo è inammissibile, sotto entrambi i profili di censura.
Il vizio di ultrapetizione, così come quello in tesi consistito nell’avere omesso il giudice di rilevare la mancanza di interesse in capo al richiedente l’indennità, sono espressamente riferiti alla pronuncia di primo grado e non è precisato, tanto meno nell’osservanza dei prescritti oneri di specificità (art. 366 c.p.c., n. 6), se essi fossero stati dedotti quali motivi di gravame.
Il contrario anzi emerge dagli stessi argomenti spesi in ricorso che, senza alcun supporto logico, pretendono di ricavare la denuncia di dette violazioni della disciplina processuale da quella, ben diversa, con cui si era contestata, sul piano del diritto sostanziale, la sussistenza dei presupposti della indennità in questione.
E’ appena il caso di rammentare che l’eventuale nullità del giudizio e/o della sentenza di primo grado che non sia stata fatta valere in appello con uno specifico motivo di impugnazione non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità e ciò per la preclusione che discende dal principio di conversione delle nullità processuali in motivi di gravame (art. 161 c.p.c.) il quale comporta la formazione di un giudicato interno (implicito) a tanto ostativo.
5. E’ inammissibile anche il secondo motivo, per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4.
A tacere della incongruità del riferimento, nell’intestazione, alla previsione di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., ed alla sovrapposizione, sempre in rubrica, con riferimento alla medesima doglianza, di incompatibili censure di error in iudicando e di error in procedendo, la prospettazione di un vizio di omessa pronuncia – su cui poi si concentra la successiva illustrazione – è, nella specie, comunque manifestamente avulsa dal contenuto della sentenza impugnata, con la quale la parte mostra di non confrontarsi in nessuna misura.
Non sarebbe altrimenti potuto sfuggire che, all’opposto di quanto dedotto, la corte territoriale prende specificamente in esame la tesi censoria sui cui poggiava (e poggia anche in questa sede) la difesa della odierna ricorrente: ovvero quella secondo cui sarebbe ingiustificato il convincimento della prevalenza, rispetto alla natura professionale dell’attività svolta, che di per sè escluderebbe il diritto all’indennità, dell’elemento organizzativo/imprenditoriale, nè sarebbe stato efficacemente assolto l’onere gravante sul conduttore (v. pagg. 3 ss. della sentenza ove tale censura è esposta in termini chiari e univoci e ne viene motivatamente affermata l’infondatezza).
Varrà in proposito rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (v. ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741; 11/01/2005, n. 359).
6. Anche il terzo motivo (cui risulta sovrapponibile l’ultima parte del secondo) è inammissibile.
Lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme evocate in rubrica, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze istruttorie, o ad auspicarne un diverso esito valutativo, muovendo dunque all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, anche in tal caso peraltro in termini generici e del tutto astratto da ogni confronto con la pur ampia motivazione resa dai giudici a quibus.
Del tutto incongruo si appalesa, in particolare, il riferimento, in rubrica, tra le norme asseritamente violate, all’art. 2697 c.c..
La ricorrente si duole dell’esito, ad essa sfavorevole, della valutazione degli elementi acquisiti al giudizio, come operata dalla corte territoriale.
A tale prospettazione censoria è però certamente estranea la norma suddetta, pertinente (in astratto) solo ove si fosse dedotto che il giudice ha risolto l’eventuale incertezza probatoria circa i presupposti del riconoscimento del diritto all’indennità ex art. 34 Legge eq. can. a scapito della parte che non era gravata del relativo onere.
Ma così, evidentemente, non è, avendo la Corte d’appello concluso per la prevalenza della componente imprenditoriale-organizzativa su quello organizzativo professionale all’esito di una esaustiva e motivata analisi delle prove raccolte, ritenute idonee a supportare, in positivo, detto convincimento.
7. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali di controparte, da distrarsi in favore del procuratore anticipatario, che ne ha fatto richiesta nel controricorso.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4.000 per compensi – oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge – e distratte in favore dell’Avv. Michele Troisi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021