Diritto alla detrazione per lavori

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30395-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36-A, presso lo studio dell’avvocato FABIO PISANI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO CENI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 463/6/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della TOSCANA, depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’11/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE CATALDI.

Svolgimento del processo

che:

1. C.R. ha impugnato dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Firenze la cartella di pagamento, emessa dall’Agenzia delle entrate all’esito di controllo formale D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-ter, con la quale l’Ufficio, relativamente all’anno d’imposta 2011, gli ha imputato la maggiore Irpef dovuta, oltre agli interessi ed alle relative sanzioni, a seguito del disconoscimento della detrazione delle spese sopportate per interventi di ristrutturazione edilizia finalizzati al risparmio energetico, di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 344 e ss., della quale il contribuente si era avvalso nella dichiarazione dei redditi, benchè, secondo l’Ufficio, privo di titolo che lo legittimasse, in quanto l’immobile ristrutturato era di proprietà di sua suocera ed egli non ne risultava possessore, nè detentore, poichè non aveva dedotto un contratto di locazione registrato e l’allegazione di un comodato verbale difettava comunque del necessario requisito della registrazione del relativo titolo.

Accolto il ricorso dall’adita CTP, l’Ufficio ha proposto appello dinnanzi la Commissione tributaria regionale della Toscana, che lo ha rigettato con la sentenza n. 463/06/2019 depositata il 12 marzo 2019. L’Ufficio propone ora ricorso per cassazione, affidato un unico motivo.

Il contribuente si è costituito con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Motivi della decisione

che:

1. Con l’unico motivo l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione “della L. n. 449 del 1997, art. 1, comma 1, della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 344-349, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16-bis, nonchè del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 18, e dell’allegata tariffa, parte prima, art. 5, del decreto 19 febbraio 2007, art. 2, dell’art. 2697 c.c.”. Assume infatti l’Agenzia ricorrente che il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere che il contribuente fosse legittimato alla detrazione quale detentore dell’immobile, di proprietà della suocera, in ragione di un contratto di comodato immobiliare verbale.

Infatti, rileva parte ricorrente, come allegato dal contribuente sin dal ricorso introduttivo (in parte qua trascritto nel ricorso per cassazione), la proprietaria aveva concesso l’abitazione in comodato verbale a sua figlia, convivente nell’immobile con il coniuge C., ma non a quest’ultimo. Comodataria, quindi, sarebbe stata la figlia della proprietaria, ma non il contribuente, genero di quest’ultima. E comunque, prosegue la ricorrente, il contratto di comodato non avrebbe potuto essere opposto all’Amministrazione fiscale, in quanto non registrato.

Inoltre, secondo l’Ufficio, la CTR avrebbe errato anche nel ritenere che lo stesso contribuente, all’inizio dei lavori in questione, convivesse con la proprietaria del bene, con la conseguenza che non sarebbe stato necessario documentare l’esistenza e la registrazione del relativo comodato, quale titolo legittimante l’agevolazione.

1.1. Preliminarmente, deve rilevarsi l’inammissibilità del motivo nella parte in cui, sostenendo la violazione dell’art. 2697 c.c., denuncia non la distribuzione dell’onere della prova (la cui pacifica imputazione al contribuente non è messa in discussione dalla CTR) in ordine alla sussistenza dei requisiti del beneficio controverso, ma censura il giudi7io in fatto reso dal giudice d’appello in ordine al suo assolvimento, alla stregua dell’istruttoria di merito.

Infatti “In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.”. (Cass. 23/10/2018, n. 26769).

Inoltre, ” La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5).” (Cass. 29/05/2018, n. 13395, explurimis).

1.2. Egualmente inammissibile, come eccepito dal controricorrente, è il motivo nella parte in cui attinge, con la pretesa violazione di legge, anche il giudizio di fatto espresso dal giudice a quo in ordine alla circostanza che, “prima dell’inizio dei lavori” ed “al momento dell’inizio dei lavori”, il contribuente (genero) abbia convissuto con la proprietaria (suocera) nell’immobile oggetto degli interventi della cui agevolazione si discute.

Invero, nella motivazione della sentenza impugnata tale accertamento, di natura fattuale, è esplicitato in maniera inequivoca ed è posto a fondamento della ratio decidendi.

Pertanto, a fronte della ricostruzione della fattispecie concreta posta dalla CTR a fondamento della decisione – censurata dalla ricorrente unicamente in diritto e senza denunciare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, o un ipotetica violazione dell’art. 112 c.p.c., rispetto alle difese del contribuente nel merito- non è condivisibile l’assunto della ricorrente, secondo cui sarebbe pacifico in causa che il genero non avrebbe mai convissuto con la suocera proprietaria, avendo il giudice a quo espressamente accertato in fatto il contrario.

In realtà, nel complesso e nella sostanza del mezzo, il motivo mira ad una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito, sulla base dell’esame delle deduzioni e delle prove addotte dalle parti, a ritenere provata la circostanza in questione.

Dunque il motivo, pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758).

Al riguardo, questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità”, se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015), nel caso di specie non denunciato.

Ed è stato quindi affermato che “Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. n. 7394 del 2010).

Pertanto, laddove la deduzione della violazione di legge sia solo formale, l’oggetto del ricorso non è più l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì la loro concreta applicazione operata dal giudice di merito ed a questi riservata (Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, Sez. 5, 4 aprile 2013, n. 8315), il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass., Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054).

Tanto premesso in ordine all’inammissibilità del motivo in parte qua, ed alla mancata proposizione di una censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo per completezza deve aggiungersi che il trasferimento della residenza anagrafica della suocera, proprietaria dell’immobile, in altro immobile “in data (OMISSIS)”, circostanza fattuale evocata dalla ricorrente come fondamento della “pacifica” non convivenza della stessa affine con il contribuente, non è stato nè pretermesso, nè negato dalla motivazione della CTR, che anzi lo ha espressamente preso in considerazione, correlandolo tuttavia ad una serie di ulteriori elementi fattuali, che ha valutato in coordinazione tra loro, concludendo infine, in fatto, diversamente da quanto pretenderebbe l’Ufficio. Ed è, peraltro, noto (e non contestato dalla ricorrente) che comunque le risultanze anagrafiche rivestono mero Valore presuntivo e possono essere superate, in quanto tali, da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, affidata all’apprezzamento del giudice di merito (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. L -, Ordinanza n. 23521 del 20/09/2019, in tema di notifiche). Nè peraltro deve escludersi a priori, come invece pare sostenere la ricorrente, che potesse attribuirsi qualsiasi valenza istruttoria, nel merito, alla dichiarazione resa dalla suocera del contribuente. Premesso infatti che la sentenza impugnata non fonda l’accertamento della convivenza specificamente su tale documento, e che comunque la ricorrente neppure ne precisa puntualmente il contenuto, deve rammentarsi che, secondo questa Corte, “In materia di prova civile, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non può costituire, nel giudizio in cui è prodotta, prova della verità del suo contenuto, ma solo un indizio, valutabile dal giudice in relazione agli altri elementi acquisiti. Tale dichiarazione può essere prestata anche nell’interesse di un soggetto diverso dal dichiarante, in quanto il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 47, comma 2, nel prevedere che la dichiarazione resa nell’interesse proprio può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui si abbia diretta conoscenza, costituisce un ampliamento dell’oggetto delle dichiarazioni sostitutive che il cittadino può compiere nel suo interesse, per cui quelle rese nell’interesse altrui possono concernere persone diverse dal dichiarante.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11223 del 21/05/2014).

Inoltre “Nel giudizio tributario, anche il contribuente, come l’Amministrazione finanziaria, ha la possibilità di introdurre dichiarazioni scritte rese da terzi, aventi valenza indiziaria in proprio favore, in conformità ai principi del giusto processo ex art. 6 CEDU, stante l’irrogazione, nell’ambito dello stesso, di sanzioni assimilabili a quelle penali.” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 6616 del 16/03/2018; conforme Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 21153 del 19/10/2015).

1.3. Per effetto dell’inammissibilità della revisione del relativo giudizio di fatto, deve quindi ritenersi accertato il dato della convivenza tra proprietaria dell’abitazione e contribuente, sia “prima dell’inizio dei lavori” che “al momento dell’inizio dei lavori”.

Tale circostanza, secondo la stessa tesi della ricorrente, attribuisce al C. il diritto all’agevolazione in parola.

Rileva infatti l’Agenzia (pag. 10 s. del ricorso), richiamando espressamente anche la propria prassi, che il titolo legittimante deve sussistere al momento di inizio dei lavori (Circolare 31 maggio 2019, n. 13/E); che “da detrazione spetta anche al familiare convivente del proprietario” (Circolare 31 maggio 2007, n. 36/E), che abbia sostenuto le spese ed al quale siano intestate le fatture (requisiti non controversi in questa sede); e che tra i “familiari”, applicando il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, rientrano gli affini entro il secondo grado, dunque anche il genero contribuente, affine di primo grado della suocera proprietaria.

La stessa agenzia, dunque, conclude che, ove fosse stato sussistente il requisito della convivenza nell’immobile in questione con la suocera proprietaria, il contribuente, in quanto familiare convivente, avrebbe potuto fruire senz’altro della detrazione.

Pertanto, in punto di diritto, avuto riguardo alla fattispecie concreta della convivenza accertata dalla CTR, il ricorso, comunque inammissibile per le ragioni già esposte, è anche infondato, in ragione delle stesse argomentazioni in diritto della ricorrente.

Le quali, peraltro, trovano anche corrispondenza in ulteriori strumenti di prassi, come la Circolare 11 maggio 1998, n. 121, che – in materia diversa (interventi di recupero del patrimonio edilizio e di ripristino delle unità immobiliari dichiarate o considerate inagibili in seguito agli eventi sismici verificatisi nelle regioni Emilia Romagna e Calabria), ma per quanto qui interessa analoga a quella sub iudice – al punto 2.1. espressamente considera che ” La detrazione compete anche al familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile sul quale vengono effettuati i lavori, purchè ne sostenga le spese (…) A tale riguardo è opportuno precisare che per familiari, ai fini delle imposte sui redditi, s’intendono, a norma dell’art. 5 Tuir, comma 5, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Va, inoltre, chiarito che, in questa ipotesi, il titolo che legittima è costituito dall’essere “un familiare”, nel senso sopra chiarito, convivente con il possessore intestatario dell’immobile. Non è richiesta l’esistenza di un sottostante contratto di comodato e, pertanto, nessun estremo di registrazione va indicato nell’apposito spazio del modulo di comunicazione dell’inizio dei lavori che il soggetto che intende fruire della detrazione deve presentare (…)”. Tali conclusioni sono espressamente richiamate anche dalla citata circolare n. 13/E del 2019, che (sia pur in materia di spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio, per misure antisismiche e bonus verde), conferma altresì che “Lo status di convivenza deve sussistere già al momento in cui si attiva la procedura ovvero, come sopra detto per i detentori, alla data di inizio dei lavori (Risoluzione 6.05.2002 n. 136) o al momento del sostenimento delle spese ammesse alla detrazione se antecedente all’avvio dei lavori e non e necessario sussista per l’intero periodo di fruizione della detrazione.” (in senso conforme, per quanto qui rileva, si veda anche la Risoluzione 12 giugno 2002, n. 184/E).

Nel senso della rilevanza, in materia di Irpef ed ai fini delle detrazioni L. 27 dicembre 1997, n. 449, ex art. 1, comma 1, della convivenza con il proprietario, alla data di inizio lavori, nello stesso immobile che ne è oggetto, si è peraltro pronunciata anche questa Corte, sebbene con riferimento alla peculiare fattispecie della convivenza “more uxorio” e della sua equiparazione al rapporto di coniugio (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26543 del 05/11/2008, che ha poi escluso il beneficio, avendo in quel caso il giudice di merito accertato che il contribuente non aveva dato prova di utilizzare concretamente l’abitazione, del convivente proprietario, oggetto degli interventi agevolati).

Infine, il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate (Prot. n. 2011/149646), in tema di documentazione da conservare ed esibire a richiesta degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, dispone comunque che la dichiarazione di consenso del possessore all’esecuzione dei lavori è necessaria, in caso di lavori effettuati dal detentore dell’immobile, solo se quest’ultimo sia diverso dai familiari conviventi. Premesso che la stessa Agenzia, nel motivo di ricorso, non assume specificamente la necessità di tale adempimento nell’ipotesi in cui il beneficiario sia familiare convivente con il proprietario, l’interpretazione della prassi conforta comunque l’affermazione del controricorrente, secondo cui, accertata la convivenza, non era neppure necessario documentare esplicitamente anche il consenso della suocera proprietaria alla richiesta del genero convivente.

1.4. L’accertamento, nei termini precisati, che il titolo che legittimava comunque il contribuente alla detrazione era costituito dall’essere “un familiare”, nel senso sopra chiarito, convivente con l’intestataria dell’immobile, prescinde pertanto dalla verifica della detenzione, da parte dello stesso contribuente (o della moglie con lui convivente), dell’abitazione in questione a titolo di contratto di comodato concluso con la proprietaria del bene.

Resta pertanto assorbita la questione relativa alla necessità che, affinchè il comodatario possa godere dell’agevolazione, il contratto di comodato, quand’anche verbale, sia stato registrato prima, quanto meno, dell’inizio dei lavori agevolati. Infatti, si tratta di argomentazione sviluppata nel motivo unico di ricorso sul presupposto, esplicito (cfr. pag. 10 s.) che il contribuente non fosse altrimenti legittimato “quale familiare convivente del proprietario dell’immobile”, e quindi “passando ad esaminare i restanti titoli che consentono la detrazione”.

1.5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, in difformità rispetto alla proposta del relatore, ricordando che, in tema di giudizio di cassazione, la causa, dovendo essere rinviata alla pubblica udienza allorchè “non ricorrono le ipotesi previste all’art. 375 c.p.c.”, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), ben può essere definita con rito camerale anche nel caso in cui ricorra una ipotesi (tra quelle indicate dal citato art. 375 c.p.c., n. 5) diversa da quella opinata dal relatore nella relazione (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 8999 del 16/04/2009; Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7605 del 23/03/2017).

2. Le spese seguono la soccombenza.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio dell’11 marzo 2021 ed in quella, riconvocata, il 12 maggio 2021.