Inizio lavori

Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza n. 3950 del 4 febbraio 2022

Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 28 marzo 2019 il Tribunale di Terni ha condannato alle pene di legge C.E.
e G.P. per il reato di cui agli art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a),
perchè, rispettivamente, il primo, quale proprietario ed esecutore dei lavori, e il secondo, quale
direttore dei lavori, avevano eseguito delle opere di movimento terra, senza esporre il cartello di
cantiere di cui al regolamento edilizio del Comune di Penna in Teverina, secondo quanto
specificato al punto 11 delle prescrizioni della voltura del permesso a costruire n. 37 del 2013,
rilasciato il 15 ottobre 2013, in Penna in Teverina, in epoca antecedente e prossima al 9 marzo
2016.
2. Gli imputati presentano cinque motivi di ricorso.
Con il primo deducono la violazione di legge per violazione del divieto del ne bis in idem.
L’omessa esposizione del cartello di cantiere era assoggettata sia alla sanzione penale che alla
sanzione amministrativa prevista dalla L. Regione Umbria n. 1 del 2015, art. 141, comma 4. La
sanzione amministrativa aveva tutte le caratteristiche della sanzione penale. Pertanto, non poteva
applicarsi una seconda sanzione, visto che avevano pagato quella amministrativa nella misura di
euro 400,00.
Con il secondo eccepiscono la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine
all’apprezzamento della prova. Espongono che gli operanti avevano notato il materiale di risulta
da demolizione e pietre mischiate a terreno accumulate nei dintorni del fabbricato e avevano
ritenuto che i lavori fossero iniziati. Invece, non vi erano indizi gravi, precisi o concordanti che i
lavori fossero in corso. Non vi era la delimitazione di cantiere, non vi erano ditte esecutrici, operai
o macchinari e soprattutto i lavori non erano neanche iniziati, come emerso dalle testimonianze.
Osservano che l’ing. P. aveva affermato che era stata data comunicazione dell’inizio dei lavori, ma
tale comunicazione era limitata alla formazione della rete di cantiere, alla posa in opera della rete
per circoscrivere l’area e all’apposizione della cartellonistica, ma i lavori non erano iniziati. L’unico
lavoro realizzato era stato quello di sbancamento, segnalato dal Corpo forestale. Il maresciallo De
Santis aveva dichiarato che vi era stata una demolizione recente di un fabbricato perché non vi era
stata ricrescita della vegetazione. Era stato asportato del terreno superficiale e vi era stato un
leggero sbancamento del terreno. Il Giudice aveva affermato che vi erano lavori presumibilmente
in corso, in quanto non vi era vegetazione sopra il terreo o sulle pietre smosse. La sentenza era
viziata perché la questione non era valutare se i lavori fossero o meno in corso, ma se fossero o
meno iniziati secondo il concetto di inizio dei lavori. La sentenza era incorsa nella fallacia del
conseguente, perché, pronunciandosi su un concetto vago e indeterminato, come quello di lavori
in corso, aveva dato per scontato che se i lavori fossero stati in corso, avrebbero dovuto essere in
qualche modo iniziati. Contestano tale ragionamento e osservano che il corretto percorso da
seguire era quello di valutare il concetto normativo di inizio lavori, l’unico richiamato
espressamente dall’art. 11 delle prescrizioni della voltura al permesso a costruire n. 37 del 2013.
Con il terzo eccepiscono la violazione di legge e il vizio di motivazione. La sentenza non aveva
tenuto in considerazione il contenuto esatto delle prescrizioni che andavano identificate nell’art.
11 della voltura del permesso a costruire e nel regolamento edilizio. Ai fini del concetto di “inizio
lavori” bisognava far riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 15, e all’interpretazione
giurisprudenziale secondo cui la mera esecuzione di lavori di sbancamento non era sufficiente a
concretizzare l’effettivo inizio dei lavori. L’inizio dei lavori doveva intendersi riferito a concreti
lavori edilizi. Pertanto, i lavori dovevano intendersi iniziati, nella misura in cui erano consistiti nel
concentramento di mezzi e uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi
portanti, nell’elevazione di muri, nell’esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del
costituendo edificio. Richiamano la giurisprudenza di legittimità secondo cui la mera esecuzione
di lavori di sbancamento era di per sé inidonea a ritenere soddisfatto il presupposto dell’effettivo
inizio dei lavori, essendo necessario che lo sbancamento fosse accompagnato dalla compiuta
organizzazione di cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare
del permesso a costruire di realizzare l’opera assentita. Nel caso di specie, sul luogo, al momento
del sopralluogo della polizia giudiziaria c’era solo materiale derivante dal crollo del vecchio
manufatto, cioè solo sassi su cui non poteva crescere l’erba. E lo sbancamento altro non era che
una piccola area adiacente ai sassi, senza scavi al di sotto del piano di campagna. I lavori, quindi,
non erano mai iniziati e la sentenza era viziata per inosservanza ed erronea applicazione del D.P.R.
n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a) e art. 15 e per vizio di motivazione.
Con il quarto lamentano la violazione di norme processuali e il vizio di motivazione, perché il
Giudice aveva omesso di motivare sulla presenza del cartello e sulla non rilevanza della tesi
difensiva circa l’eventuale sparizione del cartello per causa non imputabile agli indagati, stante la
prova che il luogo era lontano da strade e case, non era recintato ed era di libero accesso. Pertanto,
il cartello, regolarmente apposto, ben poteva essere caduto e sparito per caso fortuito. Il Giudice
non aveva spiegato per quale ragione aveva disatteso la testimonianza di C.F.
Con il quinto eccepiscono la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito al diniego
dell’art. 131-bis c.p. Il Giudice nulla aveva statuito in merito. Insistono nella richiesta e ricordano
che anche il Giudice di legittimità può pronunciare il proscioglimento in base a quanto emerge
dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata.

Motivi della decisione
3. I primi quattro motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
Innanzi tutto, non vi è bis in idem tra la sanzione penale prevista per il reato contestato e la sanzione
amministrativa comminata dalla legge regionale.
La L.R. Umbria n. 1 del 2015 reca il “Testo unico governo del territorio e materie correlate” e
attiene alla pianificazione del territorio. L’art. 141, comma 4 prescrive il pagamento di una
sanzione amministrativa da Euro 200 a Euro 600 in caso di mancata apposizione del cartello
d’inizio lavori da pagarsi al Comune, competente alla vigilanza del rispetto delle norme edilizie, e
quindi è strettamente connessa all’espletamento delle attività amministrative di controllo
demandate dalla Regione all’ente locale, intatto l’obbligo di denuncia penale. La Corte
costituzionale ha chiarito che le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono nell’eventuale
tutela penale, ben potendo invece essere soddisfatte con diverse forme di precetti e sanzioni (Corte
Cost., sent. n. 447 del 1998). Quindi, nulla osta alla previsione di una sanzione amministrativa che
si accompagni a quella penale (sul tema, amplius, Cass., Sez. 3, n. 2292 del 25/10/2019, dep. 2020,
Romano, Rv. 278577-01). Sulla scorta della sentenza della Corte EDU Engel c/ Paesi Bassi dell’8
giugno 1976, la possibilità di qualificare una sanzione amministrativa come “sostanzialmente”
penale dipende dalla soddisfazione di tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa
nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della
“sanzione”. Nel caso in esame, la sanzione amministrativa prevista dalla legge regionale è, tutto
sommato, irrisoria. Quindi non vi sono elementi per sostenerne la natura penale o per escludere la
proporzionalità, valutato il sistema di combinazione della sanzione penale e di quella
amministrativa, nel suo complesso. E’ consolidata in giurisprudenza l’idea secondo cui il divieto
di “bis in idem”, alla luce della giurisprudenza costituzionale e convenzionale, non opera
allorquando i diversi procedimenti siano avvinti da un legame materiale e temporale
sufficientemente stretto, in particolare consistendo il primo nel perseguimento di finalità
complementari, nella prevedibilità della duplicazione dei procedimenti, nel grado di
coordinamento probatorio tra essi e nella circostanza che, nel commisurare la seconda sanzione,
possa tenersi conto della sanzione irrogata per prima, in modo da evitare un eccessivo carico
sanzionatorio per il medesimo fatto (ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 22033 del 07/02/2019, Palma,
Rv. 276023 – 01). Non può non rilevarsi poi come in situazioni ben più importanti di quella in
esame, in cui all’irrogazione della pena si accompagna addirittura l’ordine di demolizione del
manufatto abusivo in funzione ripristinatoria, la giurisprudenza ha sempre escluso il bis in idem
(tra le più recenti, Cass., Sez. 3, n. 51044 del 03/10/2018, M., Rv. 274128-01). In definitiva, la
sanzione amministrativa prevista dalla legge regionale ha solo la funzione di responsabilizzare
l’ente locale nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e vigilanza del territorio e, in qualche misura,
di compensare tale attività.
Gli altri tre motivi di ricorso attengono a questioni di fatto il cui esame è precluso al giudice di
legittimità.
E’ fondato invece il quinto motivo, perché, nonostante l’espressa richiesta, il Giudice ha omesso di
valutare l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
In tali sensi, va annullata la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Terni in diversa
composizione.
Va dichiarata l’irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità penale.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. e rinvia al
Tribunale di Terni in diversa composizione per nuovo giudizio sul punto. Dichiara inammissibili
nel resto i ricorsi.