Abitabilità e compravendita
Civile Sent. Sez. 2 Num. 39369 Anno 2021
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE
Data pubblicazione: 10/12/2021
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Perugia, nella causa iniziata da ZA e T
B nei confronti dell’Impresa individuale di costruzioni di
BS, ha dichiarato la risoluzione del contratto di vendita
di porzioni immobiliari ubicate in un edificio condominiale in Foligno
per grave inadempimento dell’impresa, essendo le stesse porzioni prive
del certificato di abitabilità; ha condannato il venditore alla restituzione
del prezzo e al risarcimento del danno.
Contro la sentenza hanno proposto appello principale Z e
T e appello incidentale l’impresa. La Corte d’appello di Perugia
ha rigettato l’appello principale proposto dall’impresa. In particolare,
essa ha accertato che l’appartamento di proprietà Z era privo del
certificato di abitabilità in virtù dell’ordinanza del Comune di Foligno
n. x del xx, che aveva revocato l’abitabilità
originariamente concessa per l’intero edificio, per mancanza dei
requisiti minimi richiesti. Secondo la Corte d’appello, tale mancanza
giustificava la risoluzione del contratto per grave inadempimento del
venditore, ricorrendo la fattispecie della vendita aliud pro alio. La corte
di merito ha escluso la rilevanza della successiva attività attuata dal
venditore per rendere l’immobile abitabile, sia perché successiva alla
domanda di risoluzione del contratto, sia perché l’iniziativa del
venditore non aveva sortito l’effetto di rendere l’immobile suscettibile
di essere abitato. In conseguenza di quanto sopra, la Corte d’appello ha
ritenuto assorbite le eccezioni dell’impresa, di decadenza e prescrizione
della domanda di garanzia per vizi della cosa, rilevando comunque che
la stessa domanda era stata già implicitamente rigettata dal giudice di
primo grado.
La Corte d’appello ha accolto in parte l’appello incidentale,
riconoscendo, in favore del compratore, il diritto di ottenere la
restituzione di somme ulteriori in aggiunta a quella già riconosciute dal
Tribunale.
Per la cassazione della sentenza l’Impresa individuale di costruzioni
BS ha proposto ricorso affidato a due motivi.
ZA e TB hanno resistito con controricorso,
con il quale hanno chiesto l’applicazione dell’art. 4, comma 8, del d.m.
n. 55 del 2014 e dell’art. 96, comma 3, c.p.c.
Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Ai due motivi di ricorso il ricorrente premette le seguenti
considerazioni:
a) quando fu stipulata la prima vendita, con rogito del 21 settembre
2006, l’immobile era idoneo a essere abitato, tant’è vero che il 16
settembre 2008, è stato rilasciato il certificato di abitabilità;
b) fu poi stipulata fra le parti una seconda vendita per l’acquisto di un
garage (atto del 6 agosto 2007) riguardo al quale non furono addotti
vizi e difetti;
c) la causa è stata iniziata nel 2008, dopo circa due anni dalla vendita e
dopo che l’immobile, acquistato nel 2006, aveva ottenuto il certificato
di abitabilità;
d) nella causa non fu chiesta la risoluzione del contratto, ma la
condanna dell’impresa al risarcimento del danno corrispondente alle
spese occorrenti per l’eliminazione dei vizi;
e) conseguentemente, il comportamento tenuto dall’impresa dopo
l’inizio della lite era rilevante;
f) l’immobile, al momento dell’acquisto era abitabile, fu abitato e il
certificato fu revocato dopo due anni a seguito delle denunce inoltrate
dagli acquirenti;
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha
riconosciuto che ricorreva nella specie un’ipotesi di vendita aliud pro
alio.
Il ricorrente riprende le considerazioni oggetto del motivo precedente,
traendone le seguenti conclusioni:
a) la mancanza del certificato di abitabilità era dipesa esclusivamente
dalla condotta dell’acquirente;
b) occorreva applicare l’art. 1227 c.c., che esclude il risarcimento del
danno quando sussiste il fatto colposo del danneggiato;
c) non era applicabile l’art. 1453 c.c. perché la causa fu promossa non
per chiedere la risoluzione del contratto;
d) l’affermazione della Corte d’appello, circa la mancanza dei requisiti
minimi di abitabilità, era fondata esclusivamente sulla mancanza del
certificato, mentre ciò non era sufficiente, poiché gli appartamenti non
erano privi dei requisiti minimi per essere abitati;
e) il consulente tecnico in primo grado aveva formulato le proprie
conclusioni in conformità a una normativa non più applicabile (la
normativa riguardante i requisiti acustici passivi degli edifici);
f) la risoluzione quindi non si giustificava, in assenza di grave
inadempimento;
g) esclusa la risoluzione, non ci sono i presupposti per ulteriori
pronunce, dovendosi reiterare le eccezioni di decadenza a prescrizione
delle azioni di garanzia
4. Si impone in via prioritaria l’esame del primo motivo e dei profili di
censura del secondo motivo supra sub b) e c), i quali sono fondati nei
limiti di seguito indicati e il loro accoglimento comporta
l’assorbimento delle altre censure del secondo motivo, ad eccezione di
quella sub g), che è inammissibile.
In primo luogo, deve essere precisato che il primo motivo non incorre
nella preclusione della c.d. doppia conforme. Infatti, come risulta dal
ricorso e dalla stessa sentenza impugnata, le ragioni di fatto poste a
fondamento della decisione di primo grado e quelle poste a base della
sentenza di rigetto dell’appello sono tra loro diverse (Cass. n.
26774/2016; n. 5528/2014). Invero la l’ali della decisione impugnata,
diversamente da quella del Tribunale, non è solo nell’accertamento
della situazione determinatasi a seguito dell’ordinanza del 2010, che ha
revocato l’abitabilità originariamente concessa per l’intero edificio. A
ciò la Corte d’appello ha aggiunto la considerazione che la
problematica, riguardante la mancanza di abitabilità, non era stata
comunque risolta per effetto delle postume e (precluse dalla domanda
di risoluzione) iniziative del venditore. Insomma, secondo la corte
d’appello, la vendita deve essere risolta perché l’inconveniente
accertato dal primo giudice, non eliminabile dal venditore nel corso del
giudizio in linea di principio, ancora persisteva, nei fatti, al momento
della decisione in appello. Si consideri che, nella sentenza d’appello, si
menzionano documenti del 2016 e del 2017, che non erano neanche
formati quando fu pronunziata la sentenza di primo grado.
5. «Questa Corte ha avuto modo di affermare che “nella vendita di
immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di
abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo
godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata
consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del
venditore che non incide necessariamente in modo dirimente
sull’equilibrio delle reciproche prestazioni delle parti comportando
l’inidoneità del contratto a realizzare la funzione economico- sociale
che gli è propria ed escludendo rilievo alla causa effettiva
dell’omissione, giacché la mancata consegna può anche dipendere da
circostanze che non escludano in modo significativo la oggettiva
attitudine del bene a soddisfare le aspettative dell’acquirente. Infatti,
soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l’ottenimento
del certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni
urbanistiche può ipotizzarsi nella mancata consegna del documento un
inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita,
mentre nelle altre ipotesi l’omissione del venditore non si sottrae a tale
fine ad una verifica dell’importanza e gravità dell’inadempimento in
relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione diretta
od indiretta dell’immobile” (Cass., n. 3851/2008; n. 17140/2006;
n. 24786/ 2006). Con riferimento ad un giudizio avente ad oggetto la
domanda di risoluzione del contratto, si è poi precisato che non può
negarsi rilievo al rilascio della certificazione predetta in tale giudizio,
promosso dal compratore, nonostante l’irrilevanza dell’adempimento
successivo alla domanda di risoluzione stabilita dall’art. 1453 cod. civ.,
comma 3, perché si tratta di circostanza che evidenzia
l’inesistenza originaria di impedimenti assoluti al rilascio della
certificazione e l’effettiva conformità dell’immobile alle norme
urbanistiche» (così testualmente Cass. n. 6458/2010; conf. n.
17123/2020).
Insomma, l’inadempimento, derivante dalla mancata consegna del
certificato, può determinare la risoluzione solo qualora non ricorrano
le condizioni per il suo conseguimento (Cass. n. 30950/2017).
Vale pur sempre il principio «in tema di compravendita, si ha consegna
di ciliudpro alio che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di
adempimento, ai sensi dell’art. 1453 c.c., svincolata dai termini di
decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c., qualora il bene
venduto sia completamente diverso da quello pattuito in quanto,
appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto
inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res
venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta» (Cass. n. 10916/2011; n.
28419/2013). Si rileva in dottrina che occorre fare applicazione rigida
della nozione di aliud pro alio, perché non si può evadere dall’onere di
denunzia e dal breve termine annuale di prescrizione dell’azione,
qualificando come aliud pro alio casi che invece sono scuramente di
mancanza di qualità o di vizi.
Consegue da quanto sopra che Corte d’appello, al fine di pronunciare
la risoluzione per vendita aliud pro alio avrebbe dovuto compiere
un’indagine volta a verificare se ci fossero o no le condizioni del suo
rilascio. Tale indagine è invece del tutto mancata; e l’omissione appare
tanto più evidente, perché, la stessa Corte d’appello, dopo avere
trattenuto la causa in decisione, ha rimesso la causa sul ruolo; a ciò è
seguita la produzione di documenti da parte dell’attuale ricorrente,
successivi alla sentenza di primo grado, fra i quali l’ordinanza n. 103
dell’8 febbraio 2017, menzionata nella sentenza impugnata, con la
quale si disponeva l’esecuzione dei necessari interventi di
adeguamento. Fu inoltre prodotta la Comunicazione del Dirigente
dell’Area del Comune di Foligno del 2 marzo 2017, con la quale fu
disposta la riattivazione dell’abitabilità per le altre porzioni dell’edificio,
ad eccezione dell’immobile degli attuali controricorrenti, i quali non
avevano fatto eseguire i lavori prescritti (cfr. pag. 11 del ricorso, dove il
documento è indicato e trascritto, con indicazione in nota della sede di
produzione).
In quanto all’ulteriore rilievo della Corte d’appello, e cioè che il
venditore non avrebbe più potuto porre rimedio alla mancanza del
certificato, giacché il tentativo di adempimento tardivo era precluso
dall’art. 1453 c.c., l’affermazione incorre in un duplice errore di diritto.
In primo luogo, per la ragione appena detta: in materia di abitabilità,
l’inadempimento, idoneo a giustificare la risoluzione per vendita aliud
pro alio, implica l’originaria «esistenza di impedimenti assoluti al rilascio
della certificazione» (Cass. n. 6458/2010 cit.).
In secondo luogo, perché la domanda di risoluzione fu proposta
dall’acquirente Z in via subordinata rispetto alle domande dirette
a ottenere la condanna dell’impresa al risarcimento del danno, nella
somma occorrente all’eliminazione dei vizi, oltre alla condanna a
provvedere alla regolarizzazione urbanistica e edilizia dell’immobile. Si
ricorda che la preclusione stabilita dall’art. 1453 c.c. comma 3, c.c. non
è assoluta, ma suppone che la domanda di risoluzione sia stata
proposta senza riserve (Cass. n. 20899/2013; n. 1077/2005). Tale
condizione non ricorre per definizione quando la domanda di
risoluzione sia proposta in via subordinata rispetto ad altre domande
volte a ovviare alle conseguenze dell’inadempimento.
6. La censura sub g) (esclusa la risoluzione, non ci sono i presupposti
per ulteriori pronunce, dovendosi reiterare le eccezioni di decadenza a
prescrizione delle azioni di garanzia), è inammissibile, trattandosi di
eccezioni che la Corte d’appello ha ritenuto assorbite nella pronuncia
di risoluzione del contratto per mancanza del certificato di abitabilità.
Sono inammissibili in sede di legittimità censure che non siano dirette
contro la sentenza di appello, ma riguardino questioni sulle quali
questa non si è pronunciata ritenendole assorbite, atteso che le stesse,
in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, possono essere
nuovamente riproposte al giudice di rinvio (Cass. n. 8817/2012).
7. In conclusione è accolto il primo motivo e le censure sub c) e d) del
secondo motivo; sono assorbite le censure sub a), b), e), e del secondo
motivo; è inammissibile la censura sub g) del secondo motivo.
La sentenza deve essere cassata in relazione al primo motivo e alle
censure del secondo motivo accolte e la causa rinviata alla Corte
d’appello di Perugia in diversa composizione, che provvederà a nuovo
esame attenendosi ai criteri di cui sopra e liquiderà le spese del
presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo e, nei limiti di cui in motivazione, il secondo
motivo; cassa la sentenza in relazione in relazione ai motivi accolti;
rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione
anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
civile della Corte suprema di cassazione, il 9 settembre 2021