Veranda e decoro architettonico

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15679/2016 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DORA 2, presso lo studio dell’avvocato ANDREA COCOCCIA, rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO MARTORANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERICO TESTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

M.F.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 972/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2021 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

Svolgimento del processo

Il Condominio (OMISSIS) citò in giudizio D.A. e M.F.S., nella rispettiva qualità di proprietario e conduttore di un appartamento sito nel condominio, lamentando che i predetti avevano realizzato, nella parte posteriore del fabbricato, una veranda chiusa in alluminio preverniciato bianco con pannelli in laminato plastico e vetri, per rendere il vano abitabile ed avevano sostituito gli infissi originariamente in Douglas con infissi in alluminio preverniciato bianco. L’attore lament che detti interventi non erano stati autorizzati dal condominio nè dalla Sovrintendenza, pur trattandosi di fabbricato sottoposto a vincolo paesaggistico ed avevano arrecato un danno estetico per l’utilizzo di materiali diversi da quelli costruttivi, oltre ad aver ampliato le superfici, in violazione del regolamento condominiale.

Nel giudizio di primo grado, M.F. rimase contumace mentre si costituì il D..

Il Tribunale accolse parzialmente la domanda nei confronti del D. e la rigettò nei confronti del M..

Proposero appello principale D. ed appello incidentale il M..

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 7.3.2016, qualificò l’appello del M. come appello incidentale e lo dichiarò inammissibile per carenza di interesse perchè proposto dalla parte non soccombente.

Per quel che rileva in questa sede, l’appellante principale dedusse che, in primo grado, vi era stata la tardiva costituzione del condominio ed il M. era rimasto contumace, sicchè la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre la cancellazione della causa dal ruolo. La Corte d’appello osservò che non doveva disporsi la cancellazione della causa dal ruolo perchè le parti, pur costituite tardivamente, avevano dato impulso al processo, regolarizzando il rapporto processuale. Il D., in particolare, pur costituendosi tardivamente, non aveva sollevato alcuna eccezione,nè poteva dolersi della violazione del contraddittorio nei confronti del M., trattandosi di eccezioni de iure tertii, che potevano essere sollevate solo dalla parte direttamente interessata, non vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario. L’interesse ad impugnare non poteva derivare dalla domanda nuova di garanzia proposta in appello o dalla possibilità che tale domanda potesse essere proposta in un successivo giudizio. Nè l’inosservanza delle disposizioni sulla regolare costituzione del contraddittorio poteva essere avanzata dal M., non versando il predetto in una situazione di soccombenza.

Nel merito, la Corte distrettuale ravvisò, negli interventi edilizi svolti, una lesione del decoro architettonico.

Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso M.F., quale avente causa di D.A., divenuto proprietario dell’immobile oggetto di causa con atto per notar De Bellis in Napoli del 22.12.2010; il ricorso è affidato a cinque motivi.

Ha resistito con controricorso il Condominio (OMISSIS).

M.F.S. è rimasto intimato.

In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 165, 171, 307 e 354 c.p.c., e art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la corte d’appello disposto la cancellazione della causa dal ruolo per la tardiva costituzione del condominio attore, avvenuta in data 15.7.2002 mentre la prima notifica era stata effettuata il 3 luglio 2002 ed uno dei convenuti era rimasto contumace. Poichè il condominio avrebbe dovuto costituirsi non oltre il 13.7.2002, la costituzione tardiva avrebbe determinato la nullità della sentenza, rilevabile in ogni stato e grado del processo, essendo l’art. 165 c.p.c., una norma di ordine pubblico processuale.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d’appello affermato il difetto di interesse dell’appellante incidentale M. ad impugnare la sentenza di primo grado in contrasto con il principio, affermato da questa Corte con sentenza del 14.4.1992, che ravviserebbe l’interesse ad agire del convenuto contumace anche in relazione alla domanda nuova proposta in appello.

I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

Le disposizioni dell’art. 171 c.p.c., e art. 307 c.p.c., commi 1 e 2, sulla cancellazione della causa dal ruolo per la mancata costituzione delle parti, non si applicano se le parti, costituendosi tardivamente, dimostrino la comune volontà di dare impulso al processo, regolarizzando in tal modo la costituzione del rapporto processuale (Cassazione civile sez. III, 25/07/2000, n. 9730; Cassazione civile sez. II, 24/09/1994, n. 7855).

Nel caso di specie, il D. si era costituito senza eccepire la tardiva costituzione del condominio attore ma svolgendo le sue difese nel merito, dando, in tal modo, impulso al processo e regolarizzando il rapporto processuale. Nella stessa posizione si trova il M., quale successore a titolo particolare, per essere divenuto, in corso del giudizio proprietario dell’abitazione e successore del diritto controverso. Nè il D., dante causa del M., era legittimato a far valere l’eventuale violazione del contraddittorio riguardante l’altro convenuto M.F.S., che era rimasto contumace.

Il successore a titolo particolare che intervenga nel processo in grado di appello, ex art. 111 c.p.c., assume, infatti, la stessa posizione del suo dante causa e non può proporre domande nuove salvo quella diretta all’accertamento del suo diritto di intervenire, nella specie non contestato dal condominio (ex multis Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, n. 996).

Correttamente, la corte distrettuale ha ritenuto che il M., contumace in primo grado, non poteva dedurre la violazione delle norme relative alla regolare costituzione del contraddittorio nei confronti di un altro convenuto, trattandosi di eccezioni de iure tertii, che potevano essere sollevate solo dalla parte direttamente interessata, non vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario (Cassazione civile sez. III, 19/12/2013, n. 28464; Cassazione civile sez. III, 19/12/2013, n. 28464) La violazione delle norme sulla notificazione della citazione e la inosservanza delle disposizioni sulla regolare costituzione del contraddittorio nei confronti di un convenuto costituiscono eccezioni “de iure” tertii, che non possono essere sollevate da altro convenuto, potendo essere fatte valere soltanto dalla parte direttamente interessata.

L’interesse ad impugnare non poteva derivare dalla domanda di garanzia, proposta per la prima volta in appello, nè rileva la possibilità che tale domanda possa essere proposta in un successivo giudizio.

L’interesse all’impugnazione – inteso quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire e la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelabile, identificabile nella concreta utilità derivante dalla rimozione della pronuncia censurata, non essendo sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica (Cass. Civ., Sez. II, 11.12.2020, n. 28307; Cass. Civ., Sez. V, 18.2.2020, n. 3391).. Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha condivisibilmente affermato che l’interesse ad impugnare non possa derivare dalla domanda di garanzia, formulata per la prima volta in appello o dalla mera possibilità che una tale domanda venga avanzata in un successivo giudizio nei confronti del M., perchè la dichiaraziortia di inammissibilità della domanda non arrecava alcun pregiudizio concreto al M. mentre la possibilità di un’azione nei suoi confronti in futuro è solo eventuale e non concreta ed attuale.

Non è pertinente il richiamo, da parte del ricorrente della pronuncia della Cassazione del 14.4.1992, n. 4525, in cui è stato affermato che il convenuto contumace in primo grado è legittimato ad impugnare la sentenza esclusivamente in rito, qualora l’attore si sia costituito oltre il termine prescrittogli, a norma dell’art. 165 c.p.c., senza che il giudice di primo grado abbia provveduto alla pronuncia del provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo.

In tale fattispecie, il convenuto contumace era rimasto soccombente in quanto era stata accolta la domanda attrice, sicchè aveva uno specifico interesse ad impugnare la sentenza di primo grado, in seguito alla tardiva costituzione dell’attore e nella contumacia del convenuto. In tale ipotesi, questa Corte ha affermato che il giudice d’appello deve limitarsi alla sola declaratoria della nullità degli atti processuali successivi alla scadenza del termine per la costituzione del convenuto, non essendovi alcuna necessità di rinviare la causa a norma degli art. 353 e 354 c.p.c., potendo la causa essere riassunta dinanzi al Tribunale da chi ha interesse, nel termine di un anno dalla pronuncia di cancellazione (Cass. 2.1.1968, n. 11; Cass. 12.2.1971, n. 362; Cass. 24.3.1982, n. 1861; Cass. 28.11.1987, n. 8878) Nel caso di specie, invece, il convenuto contumace era vittorioso e non era litisconsorte necessario sicchè difettava l’interesse all’impugnazione.

Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1122 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto che la sostituzione degli infissi in legno Douglas con quelli in alluminio anodizzato, sui quali erano state applicate delle strisce adesive riproducenti il colore del legno, fossero lesive del decoro architettonico nonostante le finestre non fossero visibili dalla strada e nonostante nel condominio fossero stati effettuati altri interventi da parte di altri condomini in relazione ad altre verande. Il ricorrente sostiene che, in ragione degli interventi preesistenti tollerati dagli altri comproprietari, non sussisterebbe la lesione del decoro architettonico perchè già sussistente una situazione di alterazione dell’estetica del fabbricato. Non avrebbe senso, secondo il ricorrente, parlare di tutela del decoro architettonico quando esso era già stato compromesso poichè la tolleranza dei proprietari avrebbe generato nel ricorrente un legittimo affidamento del fatto che anche l’ulteriore modifica sarebbe stata ugualmente tollerata. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte di merito omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con cui era stata dedotta l’omessa motivazione in ordine alle ragioni per le quali il giudice d’appello si era discostato dalle conclusioni del CTU, il quale aveva escluso la lesione del decoro architettonico. Da tale valutazione tecnica la corte di merito si sarebbe discostata affermando, in modo apodittico, che le modifiche realizzate da altri condomini potevano essere eliminate in qualsiasi momento per effetto di iniziative di uno o più condomini.

Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1122 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la valutazione del decoro architettonico sarebbe stata effettuata in contrasto con la giurisprudenza di legittimità e di merito, che avrebbe escluso la lesion del decoro architettonico in fattispecie ben più gravi di quelle oggetto di causa, relative ad interventi già realizzati dagli altri condomini. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono inammissibili.

La sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità dei motive di ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio (Cassazione civile sez. II, 11/09/2020, n. 18928; Cass. Civ., n. 14607 del 2012; Cass. Civ., n. 10350 del 2011)., Neppure può attribuirsi alcuna influenza, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 c.c., al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate (Cass. Sez. 2, 16/01/2007, n. 851).

Ai fini della tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato abbia un particolare pregio artistico, nè rileva che tale fisionomia sia stata già gravemente ed evidentemente compromessa da precedenti interventi sull’immobile (Cassazione civile sez. II, 26/05/2021, n. 14598;Cass. Sez. 2, 13/11/2020, n. 25790; Cass. Sez. 2, 19/06/2009, n. 14455; Cass. Sez. 2, 14/12/2005, n. 27551; Cass. Sez. 2, 30/08/2004, n. 17398).

Neppure è decisiva la diminuzione di valore economico correlata alla modifica, in quanto, ove, come nella specie, sia accertata una alterazione della fisionomia architettonica dell’edificio condominiale, per effetto della realizzazione di una canna fumaria apposta sulla facciata, il pregiudizio economico risulta conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico, che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata – in quanto di per sè meritevole di salvaguardia – dalle norme che ne vietano l’alterazione (così Cass. Sez. 2, 31/03/2006, n. 7625; Cass. Sez. 2, 24/03/2004, n. 5899; Cass. Sez. 2, 15/04/2002, n. 5417).

L’indagine volta a stabilire in concreto se un’innovazione determini o meno l’alterazione del decoro architettonico spetta al giudice di merito, il cui apprezzamento si sottrae al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350; Ca del fabbricato ss. Sez. 2, 23/02/2012, n. 2741; Cass. Sez. 2, 11/05/2011, n. 10350; Cass. Sez. 2, 10/05/2004, n. 8852; Cass. Sez. 2, 16/05/2000, n. 6341; Cass. Sez. 2, 05/10/1976, n. 3256).

Nel caso di specie, la corte distrettuale ha ritenuto che la sostituzione degli infissi esterni della facciata principale, originariamente in legno Douglas e uniformi per tutte le aperture del fabbricato, con nuovi infissi in alluminio preverniciati in bianco, costituisse lesion del decoro architettonico poichè la caratterizzazione uniforme degli infissi sulla facciata incideva sulla fisionomia del fabbricato e sul pregio estetico del medesimo, nè valeva a superare la lesione estetica l’adattamento con l’applicazione di una striscia adesiva marrone sull’infisso bianco.

Secondo la Corte, anche la veranda posta sulla facciata posteriore presentava consistenti ed evidenti difformità per i materiali utilizzati, colori e fisionomia del manufatto rispetto al modello tipo degli appartamenti del condominio ed alle caratteristiche prevalenti evidenziate dal CTU. A tal proposito, la corte di merito si è discostata dalle valutazioni del CTU, che aveva ritenuto insussistente il pregiudizio, pur in presenza di dette difformità, in ragione della non completa visibilità della sostituzione degli infissi e per la presenza di pregresse modifiche, ritenendo che i nuovi interventi si inserivano in un contesto già alterato. La Corte distrettuale ha spiegato che la presenza di pregressi elementi di disomogeneità non vale comunque a giustificare e rendere lecito un ulteriore intervento che alteri la fisionomia originaria. In definitive, non perchè vi sono elementi precedenti che deturpano può giustificarsi un ulteriore deturapazione che peggiori il decoro dell’edificio.

Non coglie nel segno la censura relativa all’omessa motivazione in ordine al mancato recepimento delle valutazioni del CTU, trattandosi di valutazioni non di natura tecnica ma giuridica, peraltro in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte in tema di lesione del decoro architettonico.

Nè, a fortiori, è denunciabile il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., che si configura qualora il giudice abbia omesso di esaminare una domanda od un’eccezione introdotta in causa e non una circostanza di fatto o una tesi difensiva, nella specie, peraltro, disattesa con esauriente motivazione (Cassazione civile, sez. II, 22/01/2018, n. 1539; Cass. Civ., sez. TB, del 05/12/2014, n. 25761).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 3200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge, iva e cap come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 25 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021