Vizi di costruzione e contratto di appalto

Cass. 21 ottobre 2020 n. 22926
Fatti di causa
Con atto di citazione notificato in data 11-13.11.2003, il Condominio (…) e i condomini , (…),
(…),(…) e (…)hanno evocato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Venezia, la (…) s.a.s., lo (…) s.r.l. e
gli architetti (…) (nelle rispettive qualitÀ di impresa costruttrice, societÀ venditrice e progettisti-
direttori lavori), esponendo che, con contratto d’appalto stipulato in data 14.10.94, la societÀ (…)
s.r.l. aveva commissionato alla (…) s.a.s. la realizzazione di 11 appartamenti facenti parte di un
unico corpo di fabbrica da erigersi su un lotto di terreno sito in (…), di proprietÀ della societÀ
committente; che, una volta realizzato l’edificio (denominato “Condominio (…)”), gli appartamenti
erano stati venduti dalla (…) s.r.l. ai singoli condomini e che, successivamente, si erano manifestati
gravi vizi strutturali derivanti da infiltrazioni d’acqua, che l’amministratore aveva provveduto a
denunciare all’impresa costruttrice ed alla societÀ venditrice con lettera raccomandata di data 2.9.98;
che con dichiarazione resa in data 5.10.99, (…), legale rappresentante della (…) s.a.s, aveva
riconosciuto l’esistenza dei vizi e si era impegnato alla loro eliminazione.
Hanno inoltre evidenziato che, dopo un accertamento tecnico preventivo, il legale della (…) s.r.l.
aveva comunicato che la sua cliente, preso atto dell’ennesimo rifiuto ad intervenire opposto dalla
(…), si sarebbe fatta “parte diligente” ed avrebbe proceduto ad eseguire gli interventi necessari,
obbligo che, perÒ, era rimasto inadempiuto.
Gli attori hanno quindi insistito per la condanna delle controparti all’eliminazione dei vizi o al
rimborso dei relativi costi, oltre al risarcimento dei danni ulteriori, con vittoria di spese di giudizio.
La Padana s.a.s., costituitasi in giudizio, ha resistito alla domanda, chiedendo di chiamare in causa
la Mi.Li. s.n.c. (che aveva realizzato le impermeabilizzazioni), e l’impresa Vian (subappaltatrice del
“grezzo”), per essere manlevata.
Disposta ed eseguita l’integrazione del contraddittorio ed esaurita la trattazione, il tribunale ha
condannato lo (…) s.r.l., S.a.s. e la (…). s.n.c. al pagamento solidale di Euro 67.535,24 per le causali
di cui in citazione, respingendo ogni altra domanda.
La Corte veneziana, riformando parzialmente la decisione, ha imputato la responsabilitÀ per i danni
a carico di (…)e (…) della (…) e della (…) nella misura di un terzo ciascuno, ordinando i rimborsi nei
rapporti tra i coobbligati e regolando le spese processuali.
Secondo il giudice distrettuale, con il fax del 21.6.1999, gli architetti (…) e (…) avevano
riconosciuto l’esistenza dei vizi e si erano impegnati ad eliminarli, precisando che la provenienza
della comunicazione dallo studio dei suddetti professionisti non era stata contestata in primo grado
e che i tecnici “pur se pur singolarmente evocati in giudizio, avevano operato come associazione
professionale”.
La sentenza ha inoltre soggiunto che “l’intervento dei direttori dei lavori in riferimento a quelle
“infiltrazioni d’acqua lamentate da vari condomini, con loro autonoma decisione di affidare a terzi i
“lavori di ripristino delle infiltrazione e di stabilire l’inizio di quelle opere, valutandone anche
l’indifferibilitÀ e con assunzione dell’impegno di riferire sull’andamento dei lavori” implicasse
riconoscimento della responsabilitÀ per i danni provocati dai lavori che essi avevano diretto e
progettato, nonchÈ l’assunzione dell’obbligo a porvi rimedio” e che “la peculiare posizione rivestita
da due professionisti nella vicenda, l’avere cioÈ ricoperto i ruoli sia di progettisti che di direttore dei
lavori, oltre che di soggetti di riferimento della stessa societÀ venditrice Studio 10 (…), in uno con la
loro veste di tecnici professionisti del settore e con la tipologia di vizi riscontrati, rendesse
ragionevolmente convinti che quell’assunzione dell’impegno alla eliminazione trovasse la sua
giustificazione nella sicura riferibilitÀ delle infiltrazioni a difetti di costruzione dell’immobile, dei
quali quei professionisti si sentivano (e comunque erano) tenuti a rispondere”.
La cassazione della sentenza È chiesta da (…) e (…) con ricorso in quattro motivi, illustrati con
memoria.
Il Condominio (…) e i condomini indicati in epigrafe hanno proposto controricorso e depositato
memoria illustrativa.
Le altre parti sono rimaste intimate.

Diritto
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2931 c.c., ai sensi dell’art. 360
c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che, anche a voler ritenere che i ricorrenti avessero assunto
l’impegno a eliminare i difetti dell’edificio, tale impegno riguardava non l’eliminazione di tutti i
difetti riscontrati, ma solo di quelli elencati nella comunicazione del 21.6.1999, per un costo non
superiore ad Euro 8592,54.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., artt. 1669 e 2697 c.c., ai sensi
dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che, non avendo i ricorrenti assunto l’obbligo di
eliminare tutti i vizi dell’edificio, la loro condanna doveva esser circoscritta nei limiti di quanto
liquidato a titolo di sorta capitale. In ogni caso, la domanda doveva esser proposta ai sensi dell’art.
1669 c.c., con adeguata specificazione delle negligenza contestate e delle violazioni imputabili ai
professionisti, non potendosi altrimenti estendere ad essi la presunzione di responsabilitÀ prevista
dalla norma.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1669 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,
per aver la sentenza ritenuto applicabile il termine di prescrizione ordinario e non quello annuale
previsto dalla disciplina dell’appalto in tema di garanzia per rovina dell’edificio.
1.1. I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
Non sussiste anzitutto la denunciata omissione di pronuncia.
La circostanza che i ricorrenti avessero assunto l’impegno ad eliminare tutti i difetti denunciati (e
non solo parte di essi), costituisce questione su cui la Corte di merito si È pronunciata poichÈ,
valorizzando – in proposito – il ruolo ricoperto in concreto dai ricorrenti, la loro autonoma decisione
di affidare l’incarico a terzi, di fissare i termini di inizio dei lavori e di riferire ai proprietari
sull’andamento dei lavori (cfr., sentenza, pag. 16), ha esplicitamente sostenuto che “quell’assunzione
dell’impegno alla eliminazione trovasse la sua giustificazione nella sicura riferibilitÀ delle
infiltrazioni a difetti di costruzione dell’immobile, dei quali quei professionisti si sentivano (e
comunque erano) tenuti a rispondere”, confermando, di conseguenza, la decisione di primo grado
con cui i ricorrenti erano stati dichiarati responsabili in solido per l’insieme dei vizi denunciati. Per
altro verso, la censura, senza specificamente sindacare la sentenza anche riguardo al corretto
utilizzo dei criteri di interpretazione negoziale, mira ad ottenere una lettura riduttiva del contenuto
della comunicazione inoltrata dai ricorrenti, che non trova alcun riscontro documentale, mancando
nella missiva, giÀ sotto il profilo testuale, un’inequivoca enunciazione della volontÀ dei tecnici di
limitare l’assunzione dell’obbligo di eliminare i soli difetti localizzati e circoscritti alle scale poste in
corrispondenza dell’uscita di sicurezza e ai vani di areazione del solaio” come invece sostenuto in
ricorso.
1.2. Come ha evidenziato la sentenza impugnata, “l’azione svolta in giudizio trovava il suo
presupposto di fatto nell’esistenza di quei gravi difetti strutturali e il suo titolo giuridico negli
specifici impegni all’eliminazione dei vizi accertati” (cfr.; sentenza, pag. 12).
Quindi, la domanda non richiedeva – ai fini di un’adeguata specificazione della causa petendi –
anche l’allegazione delle condizioni e dei presupposti della responsabilitÀ prevista dall’art. 1669 c.c.,
data l’autonomia dell’impegno ad eliminare i difetti assunto dalle parti rispetto all’obbligo di
garanzia previsto per legge. Era inoltre esclusa l’applicazione del termine di prescrizione breve di
cui alla disciplina della garanzia per rovina dell’edificio.
Come ha correttamente osservato il giudice di merito, l’impegno dell’appaltatore ad eliminare i vizi
dell’opera costituisce, alla stregua dei principi generali, la fonte di un’autonoma obbligazione di
“facere”, che si affianca all’originaria obbligazione di garanzia senza estinguerla, salva la
sussistenza in concreto di uno specifico accordo ad effetto novativo.
Tale obbligazione È soggetta non giÀ ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti dalla disciplina
della garanzia, ma all’ordinario termine di prescrizione decennale operante – in generale – in caso
d’inadempimento contrattuale (Cass. 20191/2019; Cass. 62/2018; Cass. 13613/2013).
2. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., art. 164 c.p.c., n. 4, art. 132 c.p.c., n.
4, art. 24 Cost., artt. 1362 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la
sentenza confermato la condanna all’eliminazione dei difetti dell’immobile a causa della mancata
consegna, da parte dei ricorrenti, dei progetti esecutivi, trascurando che: a) la loro responsabilitÀ era
stata individuata in citazione solo con riferimento alle modalitÀ di svolgimento della direzione dei
lavori; b) la mancanza della progettazione esecutiva non era stata allegata e provata dai danneggiati,
non era stata oggetto di dibattito processuale e nessuna carenza al riguardo era stata denunciata
dalla (…), che pure si era avvalsa dell’opera dei progettisti; c) tale progettazione era menzionata tra
gli allegati al contratto di appalto, che ne attestava, quindi, l’avvenuta consegna e, comunque, la
consulenza tecnica d’ufficio non poteva essere utilizzata come mezzo di prova per accertare
l’inadempimento ascritto ai progettisti.
Lamentano infine i ricorrenti che erroneamente, con grave contraddizione argomentativa e
travisando il dato letterale, la Corte di merito abbia ritenuto che il contratto indicasse, tra gli
allegati, la sola progettazione di massima e non anche i progetti esecutivi, omettendo, inoltre, di dar
rilievo al comportamento successivo delle parti, che non avevano mai sollevato, in proposito,
alcuna contestazione.
Il motivo È infondato.
Non sussiste l’eccepita nullitÀ della citazione introduttiva, poichÈ come si È giÀ evidenziato – la
domanda di risarcimento era fondata non sulla specifica deduzione di un particolare profilo di
negligenza (riconducibile all’assenza o alla mancata elaborazione dei progetti esecutivi o alla
specificazione del ruolo concretamente svolto dai ricorrenti), ma sull’impegno assunto dai convenuti
– e rimasto inattuato – a rimuovere i difetti degli immobili.
In tale contesto, la circostanza che poi fossero anche emerse carenze (o l’assenza) della
progettazione non costituiva fatto costitutivo non allegato ed illegittimamente valorizzato per
l’accoglimento della domanda principale.
La sentenza ha – correttamente – evidenziato che, una volta assunto dai ricorrenti l’obbligo di
eliminare i vizi dell’immobile, il ruolo (anche di progettisti) da essi svolto nel corso dell’esecuzione
dell’appalto veniva in rilievo ai soli effetti del regresso e non per la pronuncia sulla domanda svolta
in via principale, fondata, come detto, sulla deduzione di un autonomo fatto costitutivo
dell’obbligazione rimasta inadempiuta (cfr. sentenza, pag. 11).
PerciÒ, dopo aver stabilito le singole quote di responsabilitÀ , la Corte di merito ha disposto i
rimborsi nei rapporti interni tra i corresponsabili (cfr. sentenza pag. 35), ma tenendo ferma la
condanna solidale in favore del Condominio per l’intero ammontare del danno.
2.1. Quanto all’utilizzo della c.t.u. quale fonte di prova, occorre ribadire che, ove, come nella
fattispecie, si tratti di verificare aspetti tecnici, È in facoltÀ del giudice disporre una consulenza
percipiente ed affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per
esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti allegati (Cass. 6155/2009;
Cass. 3990/2006; Cass. s.u. 9522/1996).
2.2. Riguardo infine all’assunta contraddittorietÀ della sentenza, nel punto in cui ha ritenuto che i
ricorrenti non avessero depositato la progettazione esecutiva, va rilevato che il Giudice distrettuale,
dopo aver dato che i progetti erano menzionati tra gli allegati al contratto di appalto, ha ritenuto
condivisibili le conclusioni del c.t.u. secondo cui l’edificio (che mancava delle opere di
impermeabilizzazione interna ed esterna: cfr., sentenza, pag. 26) era stato realizzato in base ad una
progettazione non sufficientemente dettagliata e del tutto inadeguata ad impedire il verificarsi dei
danni, giungendo alla conclusione che, per escludere la responsabilitÀ dei ricorrenti non era
sufficiente la prova della consegna di qualsivoglia elaborato progettuale, ma la dimostrazione – da
parte degli stessi progettisti che i vari manufatti fossero stati realizzati a regola d’arte, secondo le
indicazioni contenute nella c.t.u. e – quindi – in base a progetti esecutivi del tutto adeguati sotto il
profilo tecnico.
L’aver ritenuto carente la prova della consegna materiale di tale progettazione, nonostante la loro
menzione tra gli allegati al contratto, appare – pertanto – argomentazione meramente rafforzativa,
che di per sÈ non inficia l’impianto motivazionale della pronuncia, fondato, come detto, sulla
carenza di prova dell’adeguatezza della progettazione.
Restano conseguentemente esclusi il denunciato vizio di motivazione, la violazione dell’art. 116
c.p.c., (norma che non puÒ invocarsi per censurare il modo in cui siano state valutati gli elementi
acquisiti al processo), oltre che dei criteri di interpretazione letterale del contratto (quanto alla
menzione, tra gli allegati, dei progetti esecutivi redatti dai ricorrenti).
Il ricorso È respinto con aggravio di spese secondo soccombenza.
Si dÀ atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,
se dovuto.

P.Q.M.(…)
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, pari ad
Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5600,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfetario
delle spese generali, in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dÀ atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,
se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020